Omelia (08-01-2010)
padre Lino Pedron


Gesù ha pietà della folla perché è disorganizzata. Non c'è nessuno che si occupi di essa ed è abbandonata a se stessa: non forma un popolo ma un'accozzaglia. La pietà di Gesù si traduce in insegnamento. Nel vangelo di Marco, quando Gesù si trova con la folla, si può stare certi che non perderà l'occasione per istruirla. Il seguito del vangelo ribadirà, con maggiore forza, questa costante di Gesù: "La folla accorse di nuovo a lui e di nuovo egli l'ammaestrava, come era solito fare" (Mc 10,1).
Il legame che Marco instaura tra insegnamento e formazione di un popolo non è artificiale. Siamo davanti a un gregge senza pastore, un gregge disperso: solo la parola di Gesù può radunare e riunire gli smarriti e i dispersi. E dopo la parola, il pane; parola e pane che saziano la fame integrale delle folle: come nelle nostre Eucaristie.
Viene in mente l'inquietudine di Mosè, ormai prossimo alla morte, quando chiese a Dio di provvedere alla sua successione dando un capo alla comunità radunata nel deserto (Nm 27,15-17). Anche Ezechiele confidava ai suoi ascoltatori la speranza che Dio si sarebbe preso personalmente cura del proprio gregge procurandogli un buon pasto e dandogli come pastore un nuovo Davide per porre fine al suo errare (Ez 34). Il salmo 23 aveva ripreso questo tema del Dio-pastore che offre al suo popolo il riposo per rinfrancarlo e apparecchiargli la mensa.
Il riposo dei discepoli consiste nel bere alla fonte della misericordia divina, incarnata in Gesù, e nel fare propria la tenerezza di Dio per il suo popolo: così si impara a diventare apostoli. Gesù li invita a fare propria la sua ansia per le folle: ciò implica il preciso impegno di istruirle e di nutrirle (6,37-41) prima di concedersi il tempo per mangiare e riposarsi (6,31).
Assumendo la sua missione di Pastore-Messia annunciato dai profeti (Es 34,23-25; 37,24) e invocato dalla preghiera del popolo ebraico (Sal 74,1; 77,21; 78,52-53.70-72, 80,1), Gesù comincia ad insegnare loro molte cose (v. 34). Marco, che attribuisce sempre molta importanza all'insegnamento di Gesù, non ne specifica mai il contenuto, come se volesse far capire che questo contenuto è la persona stessa di Gesù.
La prima moltiplicazione dei pani (vv. 33-34) ha sicuramente l'intento di presentarci Gesù come pastore d'Israele che, in luogo deserto, dona il pane al popolo della prima alleanza, agli ebrei. Il racconto viene descritto sul modello del miracolo operato dal profeta Eliseo (2Re 4,42-44), mettendo però in risalto il divario tra i due (venti pani per cento persone in 2Re 4, cinque pani per cinquemila uomini in Marco), in modo che emerga la maggiore grandezza di Gesù rispetto al profeta.
Questa prima moltiplicazione, secondo Marco, avviene in terra d'Israele, sulla riva occidentale del lago. Inoltre, le cifre riportate sembrano avere anche un significato simbolico: i cinque pani moltiplicati ricordano i cinque libri della Legge di cui Gesù era Maestro; i dodici canestri avanzati appaiono come una destinazione del pane alle dodici tribù d'Israele, e la distribuzione per gruppi, certamente, riguarda soltanto il popolo eletto nell'ordine operato da Mosè nel deserto (Es 18,24-26; Dt 1,15).
Tutte queste particolarità indicano la prima moltiplicazione dei pani come azione destinata anzitutto ai giudei e come prefigurazione dell'Eucaristia riservata prima ad essi, quale garanzia del compimento delle promesse dell'Antico Testamento. Lo ricorderà ben presto Gesù alla donna siro-fenicia: "Lascia prima che si sfamino i figli" (Mc 7,27).
Questo brano è iniziato svelando la sorgente del dono del Signore: "vide molta folla e si commosse per loro" (v. 34). La compassione è l'essenza nascosta di Dio, che lo porterà a dare la vita per noi.
Il banchetto che Gesù imbandisce nel deserto è ben diverso da quello di Erode nel palazzo (Mc 6,21-29). Partecipando alla mensa di Cristo, il discepolo passa dall'egoismo e dalla brama dell'avere, del potere e dell'apparire, a una vita nuova nell'amore sotto il segno del dono e del servizio in umiltà. Entra a far parte di un popolo nuovo che ha le caratteristiche del pane che mangia. Perché l'uomo è ciò che mangia. Gesù ha detto: "Chi mangia di me, vivrà per me" (Gv 6,57).