Omelia (17-01-2010)
padre Lino Pedron
Commento su Giovanni 2,1-11

Più che la cronaca delle nozze di Cana ci deve stare a cuore la significativa presenza di Gesù e di sua Madre.
Giovanni ha un suo stile nel presentarci Maria. Egli non la chiama mai con il suo nome, ma con l'appellativo di Madre di Gesù (v. 1) o di Donna (v. 4), perché a lui interessa mettere in risalto non tanto la sua individualità quanto il ruolo che le compete. In tutto il vangelo di Giovanni, Maria è presente solo in due momenti: a Cana, quando Gesù dà inizio alla sua prima manifestazione, e sul Calvario, quando il Figlio, nel momento conclusivo della sua missione, la consegna come madre al discepolo amato (19,25-27).
Per comprendere bene il vangelo di Giovanni è importante richiamare il principio fondamentale che regola la comprensione di questo vangelo: la presenza di due livelli di lettura. Ogni pagina del testo sacro contiene un livello storico, che è quello dei precisi ricordi storici di cui si serve l'evangelista nel narrare la sua catechesi, e un livello teologico, che è quello sottinteso al testo e presente nella mente dell'autore che scrive, interpretando il fatto alla luce dell'evento pasquale. Storia e teologia si legano e si compenetrano.
L'intero episodio di Cana, riletto alla luce della Pasqua, va letto così: le nozze rappresentano l'Antica Alleanza a cui anche Maria appartiene. Lo sposo e la sposa sono Dio e il popolo d'Israele tra cui non si è instaurata una relazione permanente di amore, nonostante i vari tentativi di Dio. Maria, simbolo del giudaismo che viveva in attesa della speranza messianica, rappresenta l'umanità bisognosa, che desidera la liberazione e attende la rivelazione piena della salvezza. Il segno del vino nuovo rappresenta il messaggio evangelico di Gesù.
Il vino, nel linguaggio dell'Antico Testamento, è il simbolo dell'amore tra lo sposo e la sposa, segno di gioia ed elemento essenziale per le nozze (cfr Ct 1,2; 5,1; 7,10; 8,2). Per i profeti esso è considerato un gran dono di Dio, e la sua mancanza, causata dall'infedeltà d'Israele all'Alleanza, una vera sciagura (cfr Gl 2,19-26; 4,18; Am 9,13-14; Is 25,6; 62,5-9; Os 2,21-24; 14,7). Per la tradizione ebraica in genere, il vino è associato alla Legge, di cui è uno dei simboli preferiti (cfr Pr 9,2.5; Sir 24,23). Sullo sfondo del giudaismo, si può dunque dire che il vino di Cana è simbolo della Parola di Dio, è la rivelazione di Gesù, "la grazia della verità"(1,17) che egli ha portato, cioè il dono della sua rivelazione: "Infatti la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo" (Gv 1,17).
La risposta di Gesù a sua madre: "Che cosa c'è tra me e te, o Donna?" (v. 4) indica il nascere di una divergenza di vedute tra i due. Gesù vuole affermare che le relazioni tra di loro non vanno poste su un piamo umano, ma su una prospettiva superiore, che è quella della sua missione di rivelatore del Padre. Mentre Maria, cioè, si ferma al livello del vino che manca, per la gioia della festa di nozze (=livello umano), Gesù, invece, pensa a dare inizio al suo ministero profetico ed eleva la sua risposta sul piano del compimento della volontà del Padre. Egli pensa al dono messianico della "vita eterna", simboleggiato dal vino nuovo, che sta per donare all'uomo (=livello superiore).
Ma la novità che Gesù porta all'uomo è qualcosa di legato alla "sua ora": "Non è ancora giunta la mia ora" (v. 4). L'"ora di Gesù" non è il momento in cui sta per compiere il primo miracolo, ma il tempo della passione-morte-risurrezione del Cristo. L'ora di Gesù è tutta la sua vita terrena vissuta in conformità alla volontà del Padre, che comincia qui a Cana e raggiunge la sua pienezza sulla croce, vertice della rivelazione messianica di Gesù al mondo e preludio del suo ritorno al Padre (7,30; 8,20; 13,1; 17,1: 19,27).
La risposta di Gesù nel dialogo con Maria ha un suo preciso significato: è il superamento del primo livello terreno, in cui si trova ancora l'antico Israele e il passaggio nella fede, che il "resto d'Israele", tramite Maria, compie. Infatti, la Madre di Gesù, con le parole rivolte ai servi: "Fate quello che egli vi dirà" (v. 5) risponde all'invito di Gesù ed entra nel piano della disponibilità al progetto di Dio.
Non è difficile accostare l'espressione usata da Maria con quella che il popolo di Dio peregrinante nel deserto espresse al Sinai: "Tutto quello che il Signore ha detto, noi lo faremo" (Es 19,8; 24,3.7). Come Mosè al Sinai fu il mediatore tra Dio e il popolo, introducendo Israele nell'alleanza con Dio, così Maria a Cana introduce i servi, dopo aver lei stessa aderito alla volontà di Dio. Come al Sinai all'atto di fede seguì il dono della legge, così a Cana alla fede di Maria trasmessa ai servi, segue il dono del vino nuovo, che è la nuova legge, la "lieta notizia" portata da Gesù. Le parole di Maria sono come la ripresa di un solenne impegno assunto dal popolo d'Israele (cfr Paolo VI, Marialis cultus, n. 57).
Il confronto tra il Sinai e Cana ci permette di comprendere nella sua verità anche il significato che l'evangelista attribuisce a Maria con l'appellativo di Donna (v. 4). Con il nome di Donna, Maria non è più solo la Madre di Gesù, ma la Donna-Madre, che dovrà svolgere un compito specifico nell'opera di salvezza del Figlio: rappresentare il popolo dell'alleanza nel suo atteggiamento di apertura e di disponibilità alla Parola di Dio. Essa è la Madre-Sion (Sal 87,5; cfr Is 2,2-5; Mi 4,1-3; Zc 8,20-23), la nuova Gerusalemme che raduna i suoi figli per la costruzione del nuovo popolo di Dio (cfr Is 51,18-20; 66,8), il nuovo Israele nella sua situazione escatologica, definitiva. Maria a Cana è l'immagine di Israele giunto al suo compimento e quindi l'immagine della Chiesa.
Maria con queste sue ultime parole registrate dell'evangelista, ha raggiunto lo scopo della sua opera. Essa ha aperto la strada all'umanità perché si incontri con Cristo.