Omelia (21-01-2010)
Monaci Benedettini Silvestrini
Toccare Gesù

Usando un linguaggio moderno, verrebbe da dire che Gesù, durante la sua esperienza terrena, è stato un trascinatore di folle, soprattutto di quella massa di gente povera e delusa dai comportamenti e dagli insegnamenti di quei maestri, i quali imponevano agli altri pesanti fardelli che loro non osavano neanche toccare. Gesù invece attrae per la limpidezza del suo messaggio, per la coerenza della vita, per il potere divino di sanare corpi e anime. Egli parla con autorità umana e divina e vuole innanzi tutto calarsi nella realtà più viva della storia dell'uomo. Stando tra la gente ne percepisce e sperimenta tutta la profondità e la drammaticità nella debolezza della nostra stessa natura, corrotta dal peccato. Si accostano a lui famelici e assetati di verità; gente di ogni ceto. Molti sono malati nel corpo e nello spirito. Gesù teme di essere schiacciato da tanta miseria per cui «egli pregò i suoi discepoli che gli mettessero a disposizione una barca, a causa della folla, perché non lo schiacciassero». Noi sappiamo che il peso dell'umanità si tramuterà in passione, croce, calvario e morte per Cristo. Intanto come preannuncio e in vista di quella risoluzione finale, molti vengono prodigiosamente guariti. Per Cristo però i miracoli sono soltanto segni tangibili del suo amore e della sua missione e non vogliono essere espressione di potere o, ancor meno, motivo di trionfo. Ecco perché fa tacere gli spiriti immondi, che gli prostrano dinanzi e lo proclamano figlio di Dio. I destinatari del vangelo di Marco erano provenienti dal mondo pagano, quel mondo dove la spettacolarità e le grandezze erano misurate dalle acclamazioni e dai trionfi negli stadi e nella vita; egli vuole distoglierli dal valutare allo stesso modo gli interventi di Dio nella loro vita. Dio agisce di preferenza nel silenzio e opera nelle profondità dell'anima: vuole non dar spettacolo agli uomini, ma garantire loro la salvezza.