Omelia (24-01-2010) |
Il pane della domenica |
Evangelizzare: infinito primario Oggi questa Scrittura si è compiuta C'è una sola domanda in tutto il vangelo che, posta di schianto da Gesù, rimane come sospesa, senza alcuna risposta: "Il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?". Tutt'altro che retorica, è una domanda quanto mai drammatica; forse Gesù l'ha lasciata aperta, perché ogni generazione vi deve apportare la sua risposta. Pertanto quell'interrogativo inquietante, formulato dal Signore, deve essere ripreso di volta in volta, come ha fatto il Sinodo dei vescovi sull'Europa, nel 1999, che ha riproposto la domanda di Gesù e l'ha così aggiornata: il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede su queste terre della nostra Europa di antica tradizione cristiana? Ed ecco come Giovanni Paolo II - nell'esortazione apostolica post-sinodale, Ecclesia in Europa - ha sintetizzato la risposta: oggi molti battezzati vivono come se Cristo non esistesse; si va dilatando il pianeta dell'indifferenza religiosa; cresce inoltre il numero delle persone non battezzate o che debbono completare l'iniziazione cristiana. Si impone pertanto l'urgenza di una nuova evangelizzazione: oggi nei nostri paesi tradizionalmente cristiani spesso la sfida consiste "non tanto nel battezzare i nuovi convertiti, ma nel condurre i battezzati a convertirsi a Cristo e al suo vangelo" (n. 47). Da più parti si dice ancora che il problema non è tanto di far praticare i credenti, ma di far credere i praticanti; insomma, più che catechizzare gli evangelizzati, occorre prima evangelizzare o rievangelizzare i catechizzati. Ma ora dobbiamo domandarci: cosa significa oggi evangelizzare? Il punto di riferimento obbligato è lo stile di Gesù, il primo e più grande evangelizzatore. 1. Prima di riportare il discorso programmatico di Gesù a Nazaret, s. Luca dedica un "sommario" all'attività evangelizzatrice del Signore. È un'attività che egli svolge sotto l'influsso della potenza dello Spirito: la sua parola è originale, perché non ripete meccanicamente le sante Scritture; ed è una parola autorevole, perché comanda persino agli spiriti maligni, e gli obbediscono. Gesù è diverso dai rabbini del tempo: non ha aperto una scuola per lo studio della Legge a Gerusalemme, ma va in giro a predicare, e insegna dappertutto: nelle sinagoghe, all'aperto, nelle piazze... Gesù è diverso anche dal Battista che aspetta la gente lungo il Giordano per predicare la conversione e battezzare. Anche Gesù in un primo tempo deve aver battezzato (cfr. Gv 3,22), ma la sua attività prevalente è stata la predicazione itinerante. Ciò che lo differenzia dal Battista è soprattutto il contenuto del suo messaggio: Giovanni annuncia il giudizio di Dio, Gesù invece il suo perdono. Entriamo ora anche noi nella sinagoga di Nazaret: quello che sta per accadere è un avvenimento capitale, che il terzo evangelista sceglie come la scena-madre di tutto il suo racconto, un vero prologo dove si intravedono in trasparenza le coordinate fondamentali della missione di Gesù. Ecco che egli si alza per leggere: srotola la profezia di Isaia e va a trovare il passo dove è scritto: "Lo Spirito del Signore è sopra di me...". Stupefacente la conclusione che ne ricava: "Oggi questa Scrittura si è compiuta". 2. Evangelizzare i poveri: questo è il progetto di Gesù; questa è la vocazione della Chiesa, di tutta la Chiesa; è la missione di ogni battezzato nella Chiesa. Essere cristiano ed essere missionario è la stessa cosa. L'evangelizzazione sta a fondamento di tutto e deve avere il primato su tutto. La promozione umana è parte integrante e quindi costitutiva dell'evangelizzazione, non è però né sostitutiva di essa, né ad essa alternativa. Niente si deve anteporre alla proclamazione del vangelo, e pur di annunciarlo, la Chiesa è disposta anche a rinunciare ai suoi diritti legittimi, quando l'avanzarli offuscasse la sincerità della sua predicazione, come ha insegnato autorevolmente il Vaticano II (GS 76). Ma ancora non abbiamo detto che cosa significa evangelizzare i poveri. Il testo di Isaia, rafforzato da piccoli adattamenti introdotti da Gesù, indica con chiarezza che l'annuncio messianico della venuta in mezzo a noi del Regno di Dio va particolarmente nella direzione degli uomini variamente emarginati: impoveriti, prigionieri, disgraziati, oppressi. La mentalità del tempo era piuttosto refrattaria a questa scelta. Ad esempio, le comunità di monaci esseni, che si ritiravano a vita nel deserto del wadi Qumran, non permettevano l'ingresso nella comunità a "stolti, pazzi, deficienti, alienati, ciechi, storpi, zoppi, minorati". Così si pensava anche negli ambienti farisaici popolari. 3. Forse però, più che una splendida teoria sull'evangelizzazione dei poveri nel nostro mondo globalizzato, conviene metterci alla scuola di madre Teresa di Calcutta, il modello più alto di evangelizzazione dei poveri dei nostri tempi. Quando raccontava la sua seconda chiamata - era già suora missionaria in India, insegnante in una scuola frequentata per lo più da figli di famiglie benestanti - testimoniava: "Ho sentito intensamente che Gesù voleva che io lo servissi nei poveri, negli abbandonati, tra gli abitanti degli slums, abbracciando un genere di vita che mi rendesse simile ai bisognosi: perché è là che egli vive ed è presente". È importante sottolineare questo: madre Teresa non andò tra i poveri per motivi di critica nei riguardi del suo istituto religioso, non andò perché sconvolta dal degrado sociale che l'attorniava, non andò nemmeno per un lacerante senso di colpa: andò perché si sentì chiamata personalmente dalla "voce" del Signore crocifisso nei poveri, che le gridava: "Ho sete", e invocava amore. Perché il Signore non si nasconde solo sotto le specie eucaristiche; si nasconde anche nella carne e nel cuore dei poveri. Questa convinzione madre Teresa la esprimeva ricordando cinque parole di Gesù che citava contando con le dita: "Lo-avete-fatto-a-me". E alle sue figlie ripeteva continuamente: "Soprattutto, noi siamo religiose, non assistenti sociali, non maestre, non infermiere o dottoresse. Un ufficiale del governo mi ha detto un giorno che la differenza tra noi e gli operatori sociali sta in questo: loro agiscono per qualcosa, noi invece per Qualcuno. Tutto quel che facciamo - preghiera, lavoro, sacrifici - lo facciamo per Gesù. Gesù solo è la spiegazione della nostra vita". Per questo nell'orario giornaliero delle Missionarie della Carità c'è un tempo abbondante, dedicato all'adorazione eucaristica. Non è tempo sottratto alla carità: è tempo dedicato a diventare l'amore di Gesù, la sua compassione, la sua presenza per i poveri da servire. Questo è dunque evangelizzare i poveri: è soccorrerli come Gesù, è servirli per Gesù, in una parola è amarli con - anzi, in - Gesù. "Noi siamo religiose, non assistenti sociali", diceva madre Teresa. Ci si potrebbe allora chiedere: e che cosa significa evangelizzare i poveri, da laici? Con le parole della Madre potremmo rispondere: significa fare gli assistenti sociali, le maestre, le infermiere, i medici, non però per qualcosa, ma - secondo la regola delle "cinque dita" - per quel Qualcuno, che ha detto: "Lo-avete-fatto-a-me". Commento di mons. Francesco Lambiasi tratto da "Il pane della Domenica. Meditazioni sui vangeli festivi" Ave, Roma 2009 |