Omelia (07-02-2010) |
Agenzia SIR |
Le letture di questa domenica, che la Chiesa italiana dedica alla vita, possono essere lette in modo unitario perché le lega un tema comune: la vocazione. Si tratta di vocazioni diverse, ma tutte hanno una cosa fondamentale in comune: ogni chiamata viene capita e accettata se c'è l'esperienza di incontro personale con Dio e con Cristo. Si comincia con la visione di Isaia: nel tempio di Gerusalemme egli contempla il "Signore seduto su un trono alto ed elevato". È un incontro improvviso che lo segnerà per tutta la vita. Dio appare in tutta la maestà di Re, attorniato dai "serafini" ("i brucianti") pronti ad eseguire gli ordini divini, che cantano e proclamano Dio come il "Santo, Santo, Santo", Signore dell'universo e assolutamente trascendente, infinitamente perfetto e di inesauribile ricchezza, di una bellezza irresistibile. Dio è mistero "tremendo e affascinante", vederlo con occhi è morire perché è troppo bello e "Tutta la terra è piena della sua gloria", cioè è piena di Lui. A contatto col Dio tre volte "santo" Isaia avverte, con angoscia, la propria indegnità di peccatore. Dio lo purifica da ogni colpa, a iniziare dalle "labbra", perché Isaia dovrà parlare in nome di Dio. Una è la parola del profeta: "Eccomi". Nel Vangelo Gesù è seduto sulla barca di Simone mentre la folla gli fa ressa intorno. Gesù ordina di tornare a pescare dopo un'intera notte di lavoro senza frutto. Simone si affida alla parola del Maestro, poco gli importa di un nuovo insuccesso. Il miracolo strepitoso dice ancora una volta che ci si può fidare della parola di Gesù. È a questo punto che Simone fa la stessa esperienza di Isaia. Da una parte riconosce la potenza di Dio in Gesù; dall'altra la propria condizione di peccatore e supplica Gesù di allontanarsi perché si sente indegno di stare alla sua presenza. Gesù, "l'amico dei peccatori", non si allontana, ma lo chiama e lo trasforma in pescatore di uomini. Gli apostoli e la Chiesa non faranno altro che questo, nei secoli e nei millenni: portare salvezza e accogliere tutti nella barca dove sta Gesù, vivo e presente in mezzo a loro. Anche Paolo, nella lettera ai Corinti, afferma che se lui e gli apostoli si affaticano nell'annunziare il Vangelo, è perché hanno incontrato Gesù risorto: "Apparve a Cefa', ai Dodici,...a Giacomo...a me". È questa esperienza che li trasforma in testimoni appassionati. La spiegazione del Vangelo di oggi è semplice, basta paragonarsi agli apostoli e riconoscersi loro compagni nell'insuccesso ma anche strabiliati di come possa cambiare la vita - dentro e fuori - quando ne percorriamo pure un solo tratto alla sequela di Gesù, guidati dall'eco delle sue parole. Il sentirci niente somiglia alla "crisi" di Isaia, di Pietro e di Paolo. Anche noi ci percepiamo falliti e supplichiamo salvezza. Che è come dire: Signore, resta con noi. La missione che realizza una vocazione è tutta qui, nel far sentire questa presenza di Dio alla folla di solitudini che fa ressa intorno. Sulle rive del lago di Genesaret le reti quasi si strappavano per il troppo pesce. È stato così per la Chiesa degli apostoli e delle prime comunità cristiane, sebbene perseguitate. Può esserlo anche oggi, attraversando la crisi di ogni chiamata. Perché da sempre l'avventura di uno trascina radicalmente anche gli altri. Commento a cura di don Angelo Sceppacerca |