Omelia (07-02-2010) |
padre Paul Devreux |
Tutte le tre letture di oggi parlano di vocazione: quelle di Isaia, di Paolo e di Pietro. Hanno in comune che nascono tutte dopo una manifestazione del Signore, sono il frutto di un dono gratuito di Dio che si rivela. Contempliamo quella di Pietro. E' andato a pesca tutta la notte e non ha preso nulla. Come quando fatico tanto per poi scoprire che non ho ottenuto nulla. Gesù invita Pietro a buttare le reti, ma questa volta non di sua iniziativa, ma sulla sua parola e il risultato è strepitoso. Rimane però la domanda: Cosa significa fare una cosa non di testa mia ma per ubbidienza, o come segno di fiducia, alla sua parola? Concretamente, come posso provare a farlo? Certamente è necessario prima che il Signore mi si manifesti per invogliarmi a fare qualche cosa per lui. Secondo: questo qualche cosa, sarà una vocazione ad amare, per servire il suo regno. In altre parole, fare qualche cosa fidandomi della sua parola significa che qualsiasi cosa faccio non la farò più per guadagnarmi il pane ma, come dice Lui, per amore, per il bene comune, il che valorizzerà il mio operato sia agli occhi miei che degli altri, rendendomi più felice. Esempio banale: un conto è stare dietro una scrivania maledetta per guadagnarsi il pane, altro è starci per aiutare chi ha bisogno di quello che faccio. Ma significa anche rischiare sulla sua parola, fare delle cose affinché si manifesti più facilmente la sua venuta; per esempio aiutando anche chi umanamente non sono in grado di aiutare e fare cosi una grande esperienza della sua provvidenza e solidarietà. Il Signore mi dice: "Fidati di me e pensa al bisogno degli altri. Svolgi il tuo lavoro non solo per sopravvivere ma anche nel nome di Gesù, come vocazione e come servizio alla parola e all'umanità, come fece Simone, e contempla il risultato". |