Omelia (17-02-2010) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Convertirci per Dio e per gli altri Nelle scorse settimane Superiore Provinciale della Provincia dei Minimi a cui appartengo, che ha trascorso un periodo missione in Congo per finalità catechetiche e formative, comunicandoci una lettera di saluti ci descriveva lo stato di serenità e di gioia di un popolo che, pur non disponendo di tutte quelle sicurezze materiali di cui noi facciamo anche abuso, vive la continua solidarietà reciproca per la quale ci si aiuta gli uni gli altri, condividendo insieme le poche risorse che si possiedono. Famiglie bisognose che vivono di stenti, aiutano coloro che soffrono disagi più gravi. Mi ha dato molto da pensare l'esperienza descritta dal nostro Superiore Maggiore considerando quanto sia marcata la differenza che intercorre fra noi ricchi Europei e le popolazioni in via di sviluppo in fatto di fede e di testimonianza evangelica: laddove si è abbacinati dall'opulenza economica e dalle false ricchezze e il superfluo diventa essenziale, si omette di considerare il bene a volte immeritato di cui si dispone e non di rado si trovano ridicoli pretesti per chiuderci ai reali bisogni di tanta gente che versando in serie difficoltà economiche nulla chiede per una forma di umiltà, rispetto o dignità personale, sempre pronta non di rado ad aiutare chi è più povero di loro. E' lodevole che le nostre parrocchie si industrino ad organizzare iniziative a favore dei terremotati ad Haiti o in Abruzzo, ma è anche vero che non di rado il nostro presunto perbenismo borghese ci induce ad usare indifferenza o refrattarietà nei confronti di tanti indigenti che vivono a pochi passi da noi e verso i quali ci si limita magari a donare solo il superfluo, fatti salvi i nostri capricci commerciali. Mi sovviene considerare che determinati fenomeni del tipo sopra descritto impongono l'urgenza e l'improcrastinabilità della Quaresima seria e fondata per ciascuno di noi, perché se la Quaresima vuol dire conversione, cosa comporta un tale itinerario spirituale se non la conseguenza di una sincera carità operosa innanzitutto fra di noi, quindi verso gli altri? Non c'è penitenza o pratica ascetica che sia accetta davanti a Dio quando non sia finalizzata all'amore al prossimo e qualsiasi rinuncia o digiuno non assume valore se non viene accompagnato dalle opere di carità a sostegno dei poveri e degli indigenti ed è disdicevole che molte volte anche noi sacerdoti parliamo di povertà evangelica quando altri, nella miseria e nell'abbandono, ci danno esempio concreto di serenità e di amore. Proprio in questo periodo Benedetto XVI, nel suo messaggio in occasione della Quaresima 2010, ci ricorda che la vera ingiustizia non proviene dall'esterno ma ha origini dal cuore dell'uomo: sentimenti di ripulsa e di distanza che scaturiscono dalla nostra presunzione e dalla superbia tante volte foraggiata dal presunto successo economico sono spesso alla radice di conflitti e di odio che serpeggia attorno a noi. La vera giustizia consiste invece nell'apertura verso il povero, il forestiero, l'orfano e la vedova, cioè tutte quelle categorie che il pontefice delinea dall'Antico Testamento ma che ancora oggi sussistono nella persona degli indigenti, degli esclusi, degli emarginati e i "dimenticati" dalla società: sebbene sia tante volte difficile individuarli convivono con noi e formano il tessuto della nostra vita comune. La vera giustizia ha origine da Dio, che nel suo Figlio ci ha giusitificati, cioè ci ha resi giusti per mezzo del sangue sparso sulla croce. Nel patibolo sofferto per noi, Dio in Cristo ha fatto in modo che noi, ingiusti e immeritori, ottenessimo insomma tutte quelle condizioni per le quali possiamo adesso qualificarci "giusti" davanti a lui. Per il suo sangue siamo stati resi salvi. Più espressivo è a tal proposito l'insegnamento di Giovanni: "In questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui. In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione dei nostri peccati." (1Gv 4, 9 - 10). In conseguenza di questa giustificazione, sempre l'apostolo Giovanni ci invita a praticare la giustizia per essere davvero figli di Dio, il che non è altro che vivere l'amore sincero e disinteressato verso i fratelli nella concretezza della carità effettiva, considerando che chi non ama resta nella morte e che l'amore non ha mai fatto male al prossimo e pienezza della Legge è l'amore (Rm 13, 10). Ebbene, la Quaresima in ultima analisi non è che questo: l'accoglienza di questo dono di grazia che Dio ha voluto concederci nella croce del suo Figlio, che è espressione completa ed esaustiva dell'amore per noi; il lasciarci coinvolgere dal mistero stesso dell'amore che ci avvince nell'evento caratterizzato dalla verità che si racchiude nella sola persona di Gesù Cristo Figlio di Dio e questi crocifisso; nell'immedesimarci in questo mistero, farlo nostro, coglierne tutta la portata e corrispondervi con la nostra adesione attraverso un processo graduale ma deciso di conversione Colui che per primo ha voluto prediligerci nonostante le nostre colpe. Se Dio egli per primo si è manifestato a noi e a noi si è "convertito" mostrandoci tutto il suo amore di misericordia e di riscatto nella croce del suo Figlio, cercando egli stesso la comunione con noi peccatori, da parte nostra non possiamo che corrispondere a tanta gratuità operando un itinerario di radicale trasformazione interiore che abbia di mira il nostro emendamento a partire dal radicale cambiamento del cuore, della mentalità e dei costumi per orientarci secondo la volontà di Dio abbandonando il compromesso con il male e con il peccato. Come afferma Vanoye in un suo commento spirituale su Paolo, Dio si comporta nei nostri riguardi come se fosse stato lui ad offenderci: viene a cercarci per ripristinare la comunione che noi abbiamo rotto con lui in seguito al peccato e di questa sollecitudine di grazia è massima espressione l'avvenimento del Golgota, dove Dio consegna se stesso in riscatto dell'umanità e come afferma Ratzinger si realizza la vera Rivelazione definitiva di Dio: nella croce Dio svela se stesso definitivamente mostrando il suo vero volto, quello dell'Amore che avrebbe dell'assurdo se non trovasse giustificazione nella gratuità di Dio. Insomma, Dio Amore si rivela nell'evento della croce come Colui che per primo realizza la propria riconciliazione con noi. E' Dio che si riconcilia per primo con noi pagando sulla croce il prezzo del nostro riscatto e rendendoci appunto "giusti", cioè degni della sua presenza e della sua misericordia; ma attende anche che da parte nostra ci si decida risolutamente per lui. In conseguenza dell'amore del Crocifisso non ci resta allora che convertirci a nostra volta, cioè aderire allo stesso amore; significa convincerci dell'inutilità del peccato e della sua incompatibilità con la nostra volontà di liberazione e di emancipazione per la vita; orientarci all'accoglienza dell'amore di Dio che è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato donato sempre per mezzo del Figlio (Rm 5, 5), conformaci alle aspettative di questo amore e assumere i punti di vista di Dio. Ma tutto questo processo resta sterile e infecondo se non sfocia nelle opere dell'amore vicendevole, nella carità operosa ed effettiva, perché il Regno di Dio non consiste in parole, ma in opere (1 Cor 4, 19) a sostegno soprattutto dei più deboli e degli emarginati. Anzi proprio la carità che scaturisce da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera (1 Tm 1, 5) è segno di avvenuta conversione come assunzione della familiarità piena con Dio e della convinzione che tutto quanto noi possediamo lo dobbiamo a lui: convertirsi vuol dire infatti aver fatto esperienza dell' amore infinito di Dio e saperlo estendere agli altri con la concretizzazione delle opere. Oggi cominciamo di fatto un itinerario liturgico che deve tuttavia rappresentare la nostra dinamica cristiana di tutta la vita e lo iniziamo con un gesto emblematico che ci ravvisa che il nostro dover essere per Dio e per gli altri comporta che noi ci riteniamo nulla, insignificanti elementi provvisori destinati a confonderci con la polvere: la cenere posa sul capo ci ravvisa infatti la nostra vanità davanti a Dio e pertanto la consapevolezza di dover smentire noi stessi perché la conversione a lui si realizzi progressivamente e impregni tutta la nostra vita. Come affermava nella sua triplice espressione Sant'Agostino, l'umiltà è la caratteristica fondante di ogni atteggiamento cristiano, perché solo in ragione di essa è possibile attribuire il primato di Dio nella nostra vita e vedere lo stesso Dio negli altri. Anche il digiuno e l'astinenza sono di ausilio alla rinuncia a noi stessi per l'esaltazione dello spirito nella comunione con Dio, ma non possiamo non osservare come le nostre mortificazioni corporali non sono diverse da tante altre in uso nella nostra civiltà (c'è chi digiuna più alacremente, anche per motivi politici) quando non evincano la trasparenza seria della nostra ricerca di Dio soprattutto trasformandosi in veri atti di amore al prossimo. |