Omelia (14-02-2010)
don Roberto Rossi
Dio ci vuole felici, ma veramente.

C'è in tutti un gran desiderio di essere felici: ciascuno sogna secondo un proprio schema ma sempre si scontra con le delusioni scottanti che adagio adagio rendono ras­segnati a una vita mediocre.
Ci si illude che la felicità stia in momenti di particola­re piacere, o in esperienze di potere, di ricchezza, di benessere materiale immediato. Così, la vita dell'uomo si snoda in tensioni e attese, in delusioni e rassegnazioni che spengono ogni sogno e ogni ideale.
Gesù è venuto per ricondurre l'uomo alla sua autenti­ca felicità, a realizzare quell'antica' immagine dell'Eden dove l'uomo viveva sereno e felice: Gesù è venuto a ripro­porre l'unica via possibile per risalire dalla china del pec­cato, dalla ribellione a Dio, dal rifiuto del suo progetto, verso la verità della vera dignità umana nella quale sol­tanto si può trovare la propria pienezza.
Ecco il senso delle "beatitudini": sono la traccia sicu­ra per ritrovare l'antico equilibrio, per saper godere della realtà così come Dio stesso l'ha pensata. A prima vista l'insegnamento di Gesù sembra condur­re alla sofferenza, alla rinuncia, a privarci di quanto ci affascina: essere poveri, avere fame, piangere, sono que­ste le linee di marcia indicate da Gesù. Qui si trova la vera libertà, la capacità di dominare su di sé e sulle cose, la lealtà di rapporti interpersonali trasparenti.
Nel pensiero di Gesù, la felicità dell'uomo risiede nella capacità di gestire la propria storia non seguendo le linee imposte dall'opinione pubblica, ma cercando la vera grandezza dei figli di Dio.
Il fascino delle cose, delle relazioni amorose, del pia­cere immediato, della stima e della fama sempre più vasta, è uno stimolo che non può essere l'unico scopo del vivere, né il criterio per le proprie scelte: la libertà del­l'uomo resta sempre la condizione più vera per una feli­cità genuina e duratura. Questa è la proposta di Gesù.
Sembra che nemmeno il cristiano abbia sempre il coraggio di seguirla, tanto più quando già respira aria di potere e di ricchezza: sembra che certe "poltrone" o certi "indici di gradimento" siano ancora il criterio che deter­mina scelte pubbliche e private.
Ma la conseguenza non è la felicità raggiunta: è solo un momento pagato sulla pelle altrui e spesso anche sulla propria.