Omelia (14-03-2010)
Il pane della domenica
Dio? Era perduto ed è stato ritrovato

Questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita

"Se mai dovessero perdersi i quattro Vangeli, che almeno si salvi questa pagina. Basterebbe!". Così la pensava Charles Peguy che ben aveva intuito la centralità di questa parabola che aiuta a ritrovare quello che forse un po' tutti abbiamo perduto, cioè Dio. Sì, perché a perdersi e poi a ritrovarsi non sono tanto i due figli, ma il padre che alla fine abbraccia entrambi.

1. Tutti e due i figli si sono allontanati da lui: il più giovane, sbattendo la porta, il più grande restando, anche se col cuore altrove. Per il più giovane la casa è troppo stretta, per il più grande è troppo vuota. E così entrambi se la lasciano alle spalle e con essa il padre che perdono, forse perché in realtà non l'hanno mai conosciuto.
"Si allontanano": ecco descritto nel modo più convincente il peccato, cioè il male. Si tratta in realtà di un impercettibile "congedo" da Dio, cioè dal nostro habitat naturale, dalla nostra più segreta identità. A pensarci bene, l'elemento fondamentale è che esista Qualcuno da cui si proviene e verso cui si tende, altrimenti non avrebbe senso né restare fedele, né diventare infedele perché non ci si allontanerebbe da nessuno, se c'è solo il vuoto dietro e avanti a noi. Per questo oggi è scemato del tutto il senso del peccato, sebbene prontamente rimpiazzato da variegati sensi di colpa, spesso irrazionali e comunque fondati sulla pressione dei miti dominanti e della pubblica opinione. Se manca il riferimento a Dio, scema anche il senso del peccato che è sempre prendere le distanze da Lui. Anche se il male si fa strada comunque e finisce per essere soverchiante rispetto alla nostra libertà.

2. Ma perché capita di allontanarsi? Fisicamente, come nel caso del figlio minore e affettivamente, come nel caso del figlio maggiore? I due fratelli ci lasciano intuire due situazioni che corrispondono a sensibilità diverse per formazione ed esperienza.
Il più giovane lascia il padre perché oppresso, limitato, circoscritto dalla figura paterna. Capita anche a molti di allontanarsi da un "dio" percepito come un gendarme, come uno che ti colpisce, che ti vede per castigare. È un'immagine questa del Dio irato più frequente di quel che si pensi, giacché spesso sotto questo nome sono stati fatti passare i contenuti più disparati e perché l'immagine di Dio più frequente non è quella evangelica, come si ricava da questo affresco insuperabile di Luca.

Il più grande lascia il padre perché nel profondo si sente un salariato più che un figlio e cerca dunque il massimo vantaggio ("neanche un capretto", si lamenta), ma non ha un rapporto vero. Dio è uno da tenersi buono, tutt'al più uno da ingraziarsi. C'è dietro a questa relazione evidentemente lo spettro di una presenza che non può essere evitata e che deve essere però con-trattata. Ma siamo lontani mille miglia da una qualsivoglia forma di relazione che apra a un incontro. Tanto che tra i due il dialogo sembra spegnersi appena avviato perché non c'è mai stato.

3. E il padre? Come è in realtà? Il dipanarsi del racconto ce ne lascia intuire alcuni tratti, tanto decisivi quanto dimenticati.
Colpisce anzitutto la sua accondiscendenza dinanzi alla scelta risoluta del più giovane di andar via. Avrebbe potuto contrastarlo, opporgli la sua esperienza, negargli l'eredità. E invece lo asseconda, lo lascia libero di sbagliare perché lo ama profondamente e sa quanto sia importante provare a realizzare ciò in cui si crede di credere.
Il distacco però è solo fisico. Il padre non ha chiuso il suo cuore. Attende fiducioso il ritorno del figlio non potendo far altro. Trepida per lui, scruta la strada nella speranza di vederlo. E infatti sarà il primo a scorgerlo quando ancora era lontano. E quasi non crede ai suoi occhi, si commuove, gli corre incontro, lo abbraccia, lo bacia. Sembra anche una madre, secondo la celebre intuizione di Rembrandt che - evocando le mani del padre - ne presenta una ruvida e virile e un'altra tenera ed inequivocabilmente femminile.
C'è poi una tenerezza speciale anche verso il figlio maggiore. È di altra natura, ma non è meno intensa visto che sotteso c'è qui il dramma di un padre che non si sente più ri-conosciuto e che sperimenta come un senso di abbandono. Di fatto il padre esce fuori premuroso a pregarlo e lascia intendere come egli dimori sempre nel suo cuore e vi sia quasi una continuità ininterrotta tra i due: tutto ciò che è mio è tuo, quasi fossero la stessa persona. La parabola a questo punto però s'interrompe, lasciando in sospeso la reazione ultima del fratello maggiore. Ma in realtà questo vuoto non è casuale e rimette al centro l'iniziativa gratuita del padre, il cui volto Gesù è venuto finalmente a svelarci.
Il finale della celebre parabola dipende in realtà dalla libertà di ciascuno, chiamato a misurarsi con il Dio di Gesù Cristo. Ha scritto Benedetto XVI proprio nell'avviare la sua prima enciclica: «"Dio è amore, chi sta nell'amore dimora in Dio» (1Gv 4,6). Queste parole della prima lettera di Giovanni esprimono con singolare chiarezza il centro della fede cristiana: l'immagine cristiana di Dio e anche la conseguente immagine dell'uomo e del suo cammino. Inoltre, in questo stesso versetto, Giovanni ci offre per così dire una formula autentica dell'esistenza cristiana: «Noi abbiamo riconosciuto l'amore che Dio ha per noi e vi abbiamo creduto»" (Deus caritas est, 1).

Commento di mons. Domenico Pompili
tratto da "Il pane della Domenica. Meditazioni sui vangeli festivi" Anno C
Ave, Roma 2009