Omelia (22-06-2003) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Sì al Sacramento e a chi lo celebra Tutte le volte che ci si accosta a questo brano evangelico così come a qualsiasi passo scritturale che riguarda l'Eucarestia, la nostra attenzione si fissa immediatamente sulla scena dell'istituzione del Sacramento; ma tutti noi forse si omette di considerare ogni altro particolare riguardante la scena in questione. Leggendo attentamente il Vangelo di oggi infatti, si riscontra come Gesù sia bene al corrente di quello che sta per capitargli, cioè del fatto che qualcuno dei suoi lo consegnerà agli aguzzini per poi farlo condurre al Calvario per l'estremo supplizio: egli manda due dei suoi discepoli in città (a Gerusalemme) per provvedere debitamente alla festa di Pasqua; li informa su tutti i dettagli del loro percorso, ossia su chi incontreranno (un uomo con una brocca d'acqua) e sul luogo che troveranno a disposizione (una sala con tappeti), quest'ultimo descritto con dovizia di particolari. Poi, durante il pasto, Gesù annuncia che "qualcuno" di loro lo tradirà... Attenzione: non lo "smaschera", ma semplicemente comunica la notizia che uno di loro sta per consegnarlo nelle mani dei catturatori. Quindi Gesù conosceva bene quale sarebbe stato il suo destino. E del resto anche prima che arrivassero a Gerusalemme aveva preavvisato gli apostoli: "mi condanneranno a morte" (Mt 16, 21-23). E questo vuol dire che, mentre magari noi lo consideriamo "vittima" di un tranello, il vero protagonista della vicenda della sua cattura e della sua morte è proprio lui. In altre parole, Gesù sapeva tutto nei particolari perché quanto stava per succedergli era stato già prestabilito dal Padre, la volontà del Quale si era ben disposto a compiere. Rispondendo al disegno di Dio Padre, Gesù ora, comprendeva che era necessaria la sua morte per il riscatto di tutti dal peccato. E il fatto che sarà arrestato non si deve attribuire alla furbizia di Giuda né alla competenza delle guardie, ma piuttosto alla sua volontà di sottomettersi ai disegni salvifici di Dio Padre. Ora, mentre Gesù spezza il pane, distribuisce il vino e pronuncia quelle famose parole: "Questo è il mio Corpo; questo è il sangue dell'alleanza" non soltanto proclama di accettare tali disegni divini, ma addirittura di spiegarne il significato: lui morirà sulla croce e il suo sangue versato sarà la Nuova Alleanza fra Dio e il suo popolo. Come per l'Antico Testamento il sangue delle vittime animali era segno dell'alleanza con Dio, così adesso il suo sangue sparso sul legno definirà la definitiva alleanza, per la quale tutti gli uomini potranno essere salvati. Ed è lui la vera vittima di espiazione. Non solo: "fate questo in memoria di me" esclama che tale sacrificio sarà ripresentato ogni volta che ci si riunirà per celebrare il rito eucaristico, e in tale celebrazione Gesù sarà sostanzialmente presente nelle sembianze del pane e del vino e "ripresenterà", "renderà attuale" il sacrificio compiuto una volta per tutte per la nostra salvezza. In sintesi è come se Gesù dicesse: "Mi stanno tradendo? Mi cattureranno? Mi uccideranno? Ebbene, tutto questo era già stato previsto dal Padre mio, e io lo accetto perché è necessario affinché tutta l'umanità si salvi e viva nella gioia infinita. Anzi, guardate: il mio sangue, che serve a riscattare l'umanità dal peccato, è qui davanti a voi e in futuro dispongo che lo rendiate materialmente presente nelle sembianze del vino per ricordare e "ripresentare" questo supplizio che mi sta attendendo...Anche il mio Corpo io offro per tutti e anche di esso vi dovrete nutrire nei secoli a venire." Quindi non è la caparbia dell'uomo che ha la meglio attraverso l'arresto di Gesù, ma piuttosto la potenza di Dio che sconfigge le umane attese di onnipotenza istituendo un Sacramento di salvezza! Nell'Eucarestia Gesù ci dà conferma di non ricusare la propria immolazione sulla croce e ne sottolinea la validità affermando che nelle specie eucaristiche tutti noi si celebrerà per i secoli futuri il "memoriale" della sua passione. E' importante considerare il senso della Solennità di oggi, soprattutto per questi motivi essenziali: 1) Gesù garantisce di essere presente perpetuamente in mezzo a noi e in un modo del tutto speciale: attraverso le sembianze di un pezzo di pane e di un sorso di vino. 2) Nella sua presenza si riattualizza il sacrificio di sé per tutta l'umanità; il che dovrebbe entusiasmarci e affascinarci nelle nostre celebrazioni liturgiche; anzi, dovrebbe in primo luogo suscitare entusiasmo in me sacerdote, indegnamente chiamato a renderLo presente secondo le modalità suddette... 3) Appunto: sempre Gesù ha predisposto che uomini peccatori, in certi casi forse più di tutti gli altri, possano rendere presente il Suo Corpo/Sangue e perpetuare il sacrificio di immolazione da lui compiuto per la salvezza del mondo. Quale atteggiamento allora assumere nei riguardi dei sacerdoti? Ma è semplice: tutte le volte che ci imbattiamo in qualcuno di essi mentre si trovi sull'altare a pronunciare quelle famose parole di Gesù, dimenticare eventuali scontri che possiamo aver subito con il nostro parroco o con quel "prete antiquato" che non ci ha fatto questo o quel favore propinandoci questo o quel rimprovero... Omettere di considerare quei sacerdoti che hanno denaro e possedimenti (potrebbe anche darsi, chissà) o che si sono macchiati di quella grave colpa morale, e pensare a questo: anche loro rendono presente Cristo sull'altare per noi, per la nostra salvezza e per la fortificazione della nostra vita; non importa quale sia la qualità della loro vita quotidiana! Considerare cioè il Sacramento che essi apportano a beneficio della comunità ecclesiale e del singolo credente, il mandato che sono tenuti ad adempiere di dover perpetuare il memoriale della morte e della resurrezione di Cristo sull'altare che è sempre benefico ed edificante per tutti... E pregare per la santità di tutti i ministri dell'altare. Prima di avviarci alla distribuzione dell'Eucarestia è questo che noi preti infatti, sottovoce, dobbiamo sempre recitare: "La comunione con il tuo Corpo e con il tuo Sangue, Signore Gesù Cristo, non diventi per me giudizio di condanna"... Già! Non deve essere giudizio di condanna per noi; questo vuol dire: non dobbiamo trasgredire il Sacramento celebrato attraverso la mancata esemplarità di vita nel quotidiano! In tal senso, accanto alla grazia di Dio e all'impegno nostro personale ci è molto prezioso anche l'incoraggiamento dei fedeli, la loro assistenza orante, la vicinanza spirituale e la comprensione di eventuali errori nel servizio ministeriale dovuti anche alla comune debolezza umana... Se crediamo nel Sacramento, aiutiamo chi lo celebra. |