Omelia (28-02-2010) |
don Giovanni Berti |
Sul monte della preghiera Clicca qui per la vignetta della settimana. Le mie vacanze con la famiglia le ho sempre fatte in montagna. Per tanti anni siamo andati in campeggio in Valle D'Aosta sotto il Monte Bianco. Non sono mai stato un gran camminatore, ma ogni tanto qualche passeggiata ad alta quota la facevamo. Ho conosciuto anche diversi alpinisti che facevano cose ben più impegnative dei 4 passi che facevo io. Diventato poi prete, con i ragazzi e giovani mi sono trovato spesso a fare qualche bella escursione sui sentieri delle nostre montagne. Mi sembra di quindi comprendere meglio il perché Gesù per pregare porta su un monte i suoi discepoli. Sicuramente l'evangelista si richiama all'esperienza del monte Oreb, dove Dio si manifesta a Mosè e gli dona la Legge, ma mi piace vedere in questa "location" della trasfigurazione anche qualcosa di legato alla mia esperienza personale della montagna, e che forse non è solo una mia esperienza ma anche di altri. Gesù e i suoi amici hanno bisogno di staccare, di elevarsi. È un bisogno profondo di silenzio che fisicamente è impossibile in mezzo alla città e alla confusione della vita quotidiana. Anche Gesù e i suoi hanno bisogno di capire in che direzione stanno andando e dove porta la strada che hanno iniziato e che per molti versi è sempre più difficile e "in salita". Tutti gli alpinisti in montagna tornano con questa sensazione profonda di pace che, a dir loro, vale davvero la fatica e il pericolo affrontati per salire in alto. Non è solo una sfida fisica, ma è anche una sfida interiore. L'uomo che non cerca questa pace o l'uomo al quale è negata la possibilità di fermarsi ed elevarsi, è un uomo condannato a soffocare il respiro interiore e morire dentro. Sulla montagna della trasfigurazione Gesù cambia volto e diventa luminoso. Ha una luminosità che contagia gli assonnati apostoli e li scuote. Mi viene in mente il volto di coloro che mi raccontano una esperienza positiva che hanno vissuto o che stanno vivendo: un innamoramento, il superamento di un problema che li opprimeva, la pace ritrovata dopo un esperienza di pellegrinaggio... E' bello stare vicini a persone luminose. Donano una luce che contagia e che aiuta a ritrovare speranza nel proprio cammino. Al contrario, stare vicino a persone scure e tristi in volto ci rende più tristi e depressi. Il volto scuro può esser causato da una tristezza personale o da un problema grave, ma spesso il volto è scuro e rabbuiato come risultato di una vita quasi mai dedicata alla ricerca dello spirito e alla ricerca delle cose importanti, al ricerca di Dio. Se qualche volta non accettiamo la sfida di salire la montagna della preghiera e del tempo dedicato allo spirito, ci troviamo davvero senza luce nel viso. E il nostro buio spegne anche chi incontriamo. Credo che ogni uomo abbia la sua preghiera e il suo modo di coltivare lo spirito interiore e la ricerca di senso e pace. Clicca qui per lasciare un commento. |