Omelia (07-02-2010) |
don Daniele Muraro |
Il Nuovo Testamento - 1 La terza tappa della storia della salvezza è quella iniziata da Gesù e nella quale ancora noi siamo, ossia la Nuova Alleanza, il nuovo Testamento. Abbiamo visto che tutta l'opera, tutta la dottrina e tutta la Passione del Signore nostro sono state predette nelle profezie... Ma allora qualcuno potrebbe domandare: "Il Signore che cosa è venuto a portarci di nuovo?" Questa obiezione se la poneva già sant'Ireneo di Lione nel secondo secolo e rispondeva: "Sappiate che ha portato ogni novità portando se stesso, che era stato annunciato". "Gesù ha portato ogni novità, portando la sua persona annunciata in precedenza: poiché ciò che era stato annunciato era proprio che sarebbe venuta la novità a rinnovare e rivivificare l'uomo. Se, infatti, la venuta del Re è preannunciata dai servitori che sono stati inviati, è per la preparazione di coloro che dovranno accogliere il loro Signore. Ma quando il Re è arrivato, quando i suoi uomini sono stati riempiti della gioia annunciata, quando hanno ricevuto da lui la libertà, quando hanno goduto della sua vista, ascoltato le sue parole e gioito dei suoi doni, allora, almeno per la gente sensata, non si pone più il problema di saper che cosa ha portato la sua venuta: poiché egli ha portato la propria persona e ha fatto dono agli uomini dei beni annunciati." L'alleanza di Gesù è nuova non solo perché viene come seconda rispetto a quella di Mosè, ma perché è definitiva e ciò che non passa nel Nuovo Testamento è proprio la persona di Gesù. Se ne è reso conto san Pietro nel Vangelo, quando era ancora solo Simone, gettandosi alle ginocchia di Gesù dopo la pesca miracolosa. A Gesù Simone tributa l'adorazione che Isaia, il profeta, riserva a Dio. La scena nella prima lettura è maestosa: Isaia si trova nel tempio di Gerusalemme e ha una visione di Dio seduto in trono. La sua figura sovrasta tanto il luogo che i solo i lembi del suo manto riempiono l'edificio. Sopra di Lui si muovono i Serafini, dotati ciascuno di sei ali, cantando quella preghiera che poi è entrata nella liturgia della Messa: "Santo, santo, santo il Signore degli eserciti! Tutta la terra è piena della sua gloria". Alla presenza del Dio tre volte santo Isaia è preso da spavento riconoscendo tutta la sua indegnità, legata alle sue mancanze individuali e a quelle della vita sociale cui partecipa. Un cherubino purifica le sue labbra. Da quel momento Isaia diventa portavoce di Dio. Non è principalmente per il carbone acceso che lo tocca che egli può rappresentare Dio, ma per il fatto di averlo incontrato, di averlo visto, essere stato ammesso alla sua presenza e avere così riconosciuto la propria condizione. Il gesto del Serafino è la materializzazione di questo incontro, sufficiente a far diverso l'uomo che subito dopo avrebbe accettato di svolgere la missione di profeta. Se un semplice sfioramento con della brace di legna bastò a cambiare il corso della vita ad Isaia, in quale considerazione non dovremmo tenere noi il contatto con lo stesso Figlio di Dio fatto uomo, quale si realizzò nel corso della sua vita terrena per i suoi contemporanei e tramite i sacramenti della fede per ciascuno di noi? In effetti non è possibile essere cristiani maturi, completi se non si è fatto esperienza almeno una volta nella vita di Gesù, della familiarità con Lui, se non si è sentito il suo appello come san Pietro a far posto a Lui sulla propria barca e a prendere almeno per un po' il largo insieme con Lui. Lo conferma anche san Paolo nella seconda lettura: "Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto" intendendo dire che la sua rinascita in Cristo non fu normale, ma avvenne in maniera eccezionale, vincendo la sua resistenza e tuttavia sempre tramite un contatto personale. Altrove san Paolo dirà: "Non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me." Come insegna il Concilio Vaticano II: "Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l'uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione. Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo... La vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una sola, quella divina; perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale." A queste parole fa eco papa Benedetto, ancora cardinale, che diceva: "Il Cristianesimo è presenza, il qui ed ora del Signore, che ci sospinge nel qui ed ora della fede e della vita di fede. E così diventa chiara la vera alternativa: il Cristianesimo non è teoria, né moralismo, né ritualismo, bensì avvenimento, incontro con una presenza, con un Dio che è entrato nella storia e che continuamente vi entra". Non ci sarà al mondo mai niente di più nuovo di Gesù e dell'uomo nuovo che diventa ciascuna persona che si incontra con Lui. Nulla potrà cancellare dalla storia la potenza della morte e resurrezione di Gesù che inaugura i tempi nuovi e rende chi è inserito in Lui un uomo nuovo, capace di vivere una vita rinnovata e vedere in modo nuovo tutte le cose. |