Omelia (17-02-2010) |
don Daniele Muraro |
Liturgia interiore Nel Vangelo Gesù raccomandando ai suoi discepoli di praticare l'elemosina, la preghiera e il digiuno per tre volte aggiunge di farlo senza strepito, nella riservatezza e nel nascondimento. Sono opere buone, di cui non bisogna vergogarsi, ma di cui è necessario anche non vantarsi. Altrimenti il rischio è che le si pratichi non per amore di Dio, ma per desiderio di venire apprezzati e ammirati dagli altri. Secondo l'insegnamento di Gesù elemosina, preghiera e digiuno sono azioni private non nel senso che isolano dal proprio prossimo, ma nel senso che mettono in rapporto diretto, personale con Dio. La nostra riunione qui in chiesa stasera è pubblica, come sarà pubblico, visibile a tutti i presenti, il gesto di ricevere le ceneri sul capo in segno di penitenza e di disponibilità alla conversione. Eppure anche durante la Messa ci sono momenti di concentrazione personale, riservati al dialogo immediato con Dio. In particolare la Chiesa suggerisce delle formule da recitarsi sottovoce per bocca del sacerdote in più punti del rito. Non è la formula: "Signore mio e mio Dio", al momento dell'elevazione dell'ostia e del calice subito dopo la consacrazione che seppure consigliata ai fedeli sul Messale non esiste. Si tratta invece di tutte le "secrete", cioè le orazioni silenziose che le rubriche assegnano al celebrante. Siamo nell'anno sacerdotale ad edificazione comune possiamo sbirciare dentro le annotazioni in rosso (per questo si chiamano rubriche) del libro liturgico più importante. Ebbene quasi tutte, e non sono poche, sono formule penitenziali, particolarmente in tono con il tempo di Quaresima che abbiamo iniziato. Recandosi all'ambone per leggere il Vangelo il celebrante è invitato inchinarsi davanti all'altare e dire sottovoce: "Purifica il mio cuore e le mie labbra, Dio onnipotente, perché possa annunziare degnamente il tuo Vangelo.". Terminata la lettura le rubriche prescrivono il bacio al Lezionario, accompagnato dalla frase: "La parola del Vangelo cancelli i nostri peccati (in latino: per evangelica dicta deleantur nostra delicta). Come si vede sono parole di indegnità nei confronti del mistero che si proclama e di richiesta di purificazione, in linea con la tradizione profetica, (ricordiamo il brano di Isaia letto due domeniche fa). Passiamo all'offertorio. Quando il sacerdote versa un po' d'acqua nel calice già riempito di vino, deve dire sottovoce: "L'acqua unita al vino sia segno della nostra unione con la vita divina di colui che ha voluto assumere la nostra natura umana." Dunque secondo la preghiera l'acqua rappresenta la nostra umanità chiamata a partecipare del colore e del gusto spirituale della divinità raffigurata nel vino. Ancora, inchinandosi, il sacerdote, dice sottovoce: "Umili e pentiti accoglici, o Signore: ti sia gradito il nostro sacrificio che oggi si compie dinanzi a te." Torna il tema del pentimento, manifestato con umiltà davanti a Dio in vista che alla propria offerta venga riservata benevola accoglienza. Infine facendo il lavabo delle mani il sacerdote così si esprime: "Lavami, Signore, da ogni colpa, purificami da ogni peccato." Siamo prima della comunione, nel mentre lascia cadere un frammento dell'ostia nel calice a significare l'unità di Cristo nel suo corpo e nel suo sangue, il sacerdote dice: "Il Corpo e il Sangue di Cristo, uniti in questo calice, siano per noi cibo di vita eterna." Subito dopo la recita dell'Angello di Dio, con le mani giunte, dice sottovoce: "Signore Gesù Cristo, figlio di Dio vivo, che per volontà del Padre e con l'opera dello Spirito Santo morendo hai dato la vita al mondo, per il Santo mistero del tuo Corpo e del tuo Sangue liberami da ogni colpa e da ogni male, fa' che sia sempre fedele alla tua legge e non sia mai separato da Te." Oppure può dire: "La comunione con il tuo Corpo e il tuo Sangue, Signore Gesù Cristo, non diventi per me giudizio di condanna, ma per tua misericordia, sia rimedio di difesa dell'anima e del corpo.". Infine, rivolto all'altare, il sacerdote dice sottovoce: "Il Corpo di Cristo mi custodisca per la vita eterna." e con riverenza si comunica al Corpo di Cristo. Poi prende il calice e dice sottovoce: "Il Sangue di Cristo mi custodisca per la vita eterna." e con riverenza si comunica al Sangue di Cristo. Esiste anche una formula da usare mentre si asterge la patena e il calice, che ribadisce: "Il sacramento ricevuto con la bocca sia accolto con purezza nel nostro spirito, o Signore, e il dono a noi fatto nel tempo ci sia rimedio per la vita eterna." Sono aspetti nascosti della Messa e riservati al sacerdote, che però possono essere di aiuto per una fruttuosa partecipazione, se conosciuti, anche da parte dei fedeli laici. Nella prima lettura troviamo scritto: "Tra il vestibolo e l'altare piangano i sacerdoti, ministri del Signore, e dicano: 'Perdona, Signore, al tuo popolo e non esporre la tua eredità al ludibrio e alla derisione delle genti'". Come dice Ossia il Concilio Vaticano II tocca ai sacerdoti per primi essere coinvolti nel mistero che celebrano. "I pastori di anime devono vigilare attenta mente che nell'azione liturgica non solo siano osservate le leggi che rendono possibile una celebrazione valida e lecita, ma che i fedeli vi prendano parte in modo consapevole, attivo e fruttuoso." Ma "non si può sperare di ottenere questo risultato, se gli stessi pastori d'anime non saranno impregnati, loro per primi, dello spirito e della forza della liturgia e se non ne diventeranno maestri". In fondo tutte le espressioni sopra ricordate non sono altro che delle applicazioni dell'esortazione nella seconda lettura: "Poiché siamo suoi collaboratori, vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio. Egli dice infatti: 'Al momento favorevole ti ho esaudito e nel giorno della salvezza ti ho soccorso'. Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!" |