Omelia (14-03-2010) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Riconciliazione e libertà Quando ci si è riconciliati dopo una lite, il passato è dimenticato. Chiarire ogni equivoco, lasciare alle nostre spalle quanto di spiacevole ha causato lo scontro e la lite, lasciare al vento sentimenti di astio e di vendetta è alla basse della serenità personale, ricompone l'animo e ci risolleva motivandoci a guardare al futuro con maggiore ottimismo. Nulla di più piacevole infatti che riconciliarsi con il nostro avversario dopo uno scontro o un'acredine che ci aveva allontanati da lui per tanti anni; ancora più bello e tornare a dialogare e a frequentarci dimenticando ogni dissapore, come se nulla fosse accaduto. Forse nelle nostre relazioni tutto questo è eroico, arduo e irraggiungibile, complice tante volte la nostra presunzione e il nostro orgoglio, ma non è impossibile a Dio, che nel suo Figlio Gesù Cristo si riconcilia con noi, pronto a dimenticare il passato di ogni rancore e di ogni discordia, allontanando dispiaceri e malanimi nei nostri riguardi. L'atteggiamento di Dio non è solamente la riconciliazione ma anche il tralasciare quanto è stato causa di divisione con lui, la dimenticanza del nostro peccato e delle offese da noi ordite nei suoi confronti. Una volta abbandonato l'Egitto, comincia per Israele una vita nuova non perché il popolo abbia meritato la liberazione e la novità di prospettive future, ma perché Dio, nonostante le innumerevoli colpe degli Israeliti, ha voluto gettare nel dimenticatoio ogni nequizia subita dai suoi eletti per instaurare con essi relazioni nuove, di ripristino della comunione ed espressive della gratuità del suo amore: Dio si è riconciliato con il suo popolo, dimentico dei peccati e delle infedeltà da questo commessi. Nel suo intervento Dio concede liberazione e libertà. Liberazione perché il suo intervento è decisivo per la fine della schiavitù e per il cammino verso nuove terre in cui vivere; libertà per il fatto che il popolo non sarà mai oppresso né soffocato da un paternalismo divino ossessionante, ma resterà sempre privo da ogni vincolo e in grado di scegliere senza vessazione alcuna il proprio destino: la libertà è infatti la condizione principale per cui ci si possa orientare adeguatamente nelle scelte e se non fossimo liberi non potremmo neppure esercitare la nostra fedeltà al Signore e al contempo fuggire tutto quello che ci distanzia da essa, per questo Paolo insegna che noi siamo stati chiamati a libertà, purché questa dimensione non divenga pretesto per vivere secondo le nostre passioni, ma che sia motivo di servizio e di amore vicendevole (Gal 5, 13). Essere liberi vuol dire essere creativi nell'esercizio del bene e del servizio, nella fede e nell'oblazione a Dio, insomma capaci di essere fedeli al Signore. Anche il popolo d'Israele, man mano che procede la storia della sua salvezza, godrà di questo stato di affrancamento permanente. Sarà libero perfino di scegliere di tornare a peccare; nel qual caso, Dio sarà sempre pronto ancora una volta a dimenticare e a ricominciare poiché sebbene la nostra libertà si trasformi in libertinaggio e in abuso, Dio è sempre pronto alla riconciliazione e la sua iniziativa è quella del perdono e della dimenticanza del torto ricevuto. Potremmo affermare che in Dio vi sia quell'eroismo e quel coraggio di cui noi siamo carenti nelle nostre mutue relazioni, quella volontà di perdono e di amore che prescinde dalla sua grandezza e dalla sua onnipotenza e che è l'unico criterio con cui egli tende a trattare l'uomo. In Dio si trova quell'attitudine di riconciliazione che sarebbe necessaria a proposito dei nostri rapporti con chi ci ha offesi e umiliati e che apporterebbe sollievo e liberazione dal fardello di rancori e di instabilità interiori perché omettere di considerare le offese ricevute, fatta salva la prudenza e la giustizia, apporta molta più soddisfazione quanto malessere comporta il ricordo delle acredini passate. Per comprendere tutti questi concetti, basta gettare uno sguardo anche velocissimo sulla parabola odierna, ormai diventata proverbiale anche al di fuori del mondo religioso, il cui protagonista non è affatto il cosiddetto "figliol prodigo", ma il "padre misericordioso". L'attenzione va fissata infatti sul padre misericordioso e benevolo (Jeremias) il cui atteggiamento di amore si riscontra già nel concedere in anticipo l'eredità al figlio minore che ne fa richiesta: egli avrebbe avuto diritto di perseguitare legalmente questo giovane poiché la sua richiesta comportava un atto illecito di appropriazione indebita, eppure il padre mostra tanta e tale pazienza da suddividere le sostanze già in anticipo ad entrambi i figli. L'amore di questo genitore si riscontra quindi in questo atto di generosità che ai nostri giorni si può definire anche assurda e ingenua: assecondare una richiesta inaudita anziché accanirsi legittimamente contro chi la sta esternando. Ancora più convincente è l'atteggiamento di questo padre quando questo figlio perverso fa ritorno a casa dopo aver penato la fame e la miseria in seguito alla dissolutezza con cui aveva sperperato le sostanze ricevute: il giovane non si ravvede infatti della propria colpa, non sembra in effetti mostrare contrizione per il male commesso, non manifesta dolore per le offese arrecate al genitore. il suo è un pentimento inesistente che ha luogo solamente nel tentativo di ottenere un pezzo di pane da parte del padre situazione di fame e di misera che lo porta a provare invidia per i salariati di suo padre. Ed è per questo che la parabola è da identificarsi "del Padre misericordioso", perché appunto il padre di questo giovane, senza preoccuparsi affatto dei pretesti del suo ritorno e della veridicità del suo pentimento, esulta di gioia vedendolo ancora da lontano ed è disposto a dimenticare quanto è avvenuto pur di godere della sua presenza. Quella della riconciliazione e dell'accoglienza è insomma sua spontanea e gratuita iniziativa, indipendentemente dal fatto se il figlio sia pentito o meno e la gioia e l'esultanza per il figlio "tornato in vita" supera anche l'invidia del fratello maggiore. La gioia della riconciliazione da parte di Dio è espressa in questo racconto semplice e lineare che tutt'oggi attira la nostra attenzione ed entusiasma. Esso parla della volontà con cui Dio ci lascia liberi affinché ci accorgiamo da noi stessi che l'errore più grande è quello di ostinarci nella lontananza da lui e perché assaporiamo il gusto della riconciliazione. In virtù di questa realtà di amore divino estremo e immeritato non si può restare indifferenti ma corrispondere con l'adesione e con la disinvoltura delle riconciliazioni mutue e spontanee anche fra di noi a partire dal richiamo di Paolo "Lasciatevi riconciliare con Dio (II Lettura). Basterebbe considerare la pazienza con cui Dio ci lascia liberi perfino di peccare per considerare quanto vano è inutile è il peccato e come sia conveniente e foriero di gioia e di pace la riconciliazione fra di noi. Un'altra considerazione: la parabola, con cui Gesù tende a ribattere alle obiezioni degli interlocutori scribi e farisei, è allusiva non solamente allo sperperatore fratello minore, ma anche all''ostinazione del figlio maggiore che non comprende l'importanza dell'amore (R. Penna): il racconto interpella anche chi vanta presunte perfezioni o ostenta presunti meriti in forza della propria perfezione e impeccabilità che in casi come questi può essere messa in discussione: lo sdegno dei "giusti" che invidiano le attenzioni verso i peccatori attesta alla realtà di una conversione in realtà mai avvenuta per la quale occorre sempre rientrare in noi stessi e optare per una conscienza più retta. |