Omelia (15-06-2003)
don Fulvio Bertellini
Fatelo conoscere a tutti

Al termine del Vangelo di Matteo (in cui la missione di Gesù è rigorosamente confinata alle "pecore perdute della casa di Israele", Gesù dà il comando di andare a tutte le nazioni, perché siano battezzate "nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo. Questo fatto merita di essere sottolineato. Siamo ad una svolta nella Storia della Salvezza. Solo quando si è compiuta la rivelazione di Dio ad Israele, ha senso andare ad annunciarlo a tutte le nazioni. Solo con la Risurrezione appare chiara l'identità di Gesù come il Figlio unico di Dio; e solo dopo la Risurrezione ha senso andarlo ad annunciare a tutti i popoli. Solo con la Risurrezione viene effuso lo Spirito, e quindi solo dopo la Risurrezione i discepoli hanno forza dallo Spirito per portare il lieto messaggio a tutte le genti. L'evangelista constata che ora, finalmente, il mistero di Dio si è fatto conoscere in tutto il suo splendore e in tutta la sua forza di rinnovamento per l'uomo: per questo è giunto il momento di farlo conoscere a tutti.

Una tranquilla forza interiore

Matteo peraltro non appare minimamente preoccupato del fatto che il mistero della Trinità sembra piuttosto astruso e difficile, per l'uomo di quel tempo come per l'uomo d'oggi. Al contrario, possiamo immaginarci un evangelista piuttosto tranquillo e sicuro del fatto che verso il Padre, il Figlio, e lo Spirito Santo ci sia da parte dell'uomo una attrazione istintiva, non calcolabile, non sfruttabile. Sicuramente nell'attuale mercato religioso troviamo in circolazione altre immagini di Dio e altre proposte religiosi, alcune delle quali forse più semplici e accattivanti, meno problematiche del Dio uno e trino. Ma solo nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo troviamo la piena realizzazione del nostro desiderio di infinito, di umanità realizzata, di un pieno coinvolgimento personale e affettivo.

Liberi dal marketing religioso

La festa liturgica di oggi, fa di nuovo risuonare l'invito dell'apostolo, e ne sottolinea la dimensione trinitaria. Con questo ci dà anche una corretta configurazione ecclesiale. Non siamo operatori di marketing religioso, che devono farsi un periodico lifting per attrarre più pubblico; non siamo fanatici fondamentalisti che devono costringere il mondo a credere; non siamo neppure generosi filantropi che pretendono di risolvere tutti i problemi del mondo. Siamo i credenti nel Dio uno e trino, testimoni di un mistero che non ci appartiene e che ci supera infinitamente. Non siamo i padroni della salvezza, ma coloro che la ricevono umilmente e invitano gli altri uomini a fare altrettanto. Non siamo costretti a tutti i costi a misurare con il metro del successo la nostra riuscita, perché siamo continuamente invitati a confrontarci con il metro della verità. Tutto questo ci rende liberi: liberi dai condizionamenti, liberi dalle paure, liberi dal bisogno di riconoscimento e di conferme esterne. Liberi perfino di metterci in discussione, di accogliere in noi il dubbio e nella nostra comunità i dubbiosi. Anche l'evangelista annota che alcuni dei discepoli "dubitavano". Il Padre amorevole, che per mezzo del Figlio va in cerca dei peccatori, per sanarli con la forza del suo Spirito ha un occhio di riguardo anche per i dubbiosi.

Io sono con voi tutti i giorni

Insomma: credere nel Dio uno e trino significa accettare di essere liberi, e desiderare restarlo. E ci impedisce di rendere schiavi i fratelli. E di farci schiavi altrui. Su questo siamo costantemente esposti al rischio dell'idolatria. Di mettere un qualcosa al posto di Dio, o (più insidiosamente) prima di lui o (ancora più insidiosamente) più urgente di lui. Su questo, vedere la notizia.


Flash sulla I lettura

"Si udì mai cosa simile a questa?": si sottolinea fortemente la differenza nel rapporto con la divinità tra Israele e gli altri popoli. Gli dèi dei popoli antichi erano concepiti come i signori dei rispettivi popoli; potevano essere capricciosi e volubili e dovevano essere ammansiti con i sacrifici. La divinità era vista completamente staccata dall'uomo, e collocata in ambito rigorosamente celeste. La manifestazione della sua potenza era l'ambito ciclico e immutabile dei fenomeni naturali: il corso degli astri, il ritmo delle stagioni, il rinnovarsi della fertilità. Era l'uomo che doveva andare verso Dio, salire in alto verso di lui. Il "...ha mai tentato un Dio di andarsi a scegliere una nazione in mezzo a un'altra con prove, segni, prodigi e battaglie, con mano potente e braccio teso e grandi terrori, come fece per voi il Signore vostro Dio in Egitto sotto i vostri occhi?". Israele sperimenta l'evento sorprendente di un Dio che va incontro all'uomo, quasi contro la sua volontà, in maniera imprevedibile e non controllabile magicamente. Il Dio di Israele si manifesta nella storia, non principalmente nei fenomeni naturali, e il suo agire non rientra nel controllo umano.
"Il Signore è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra, e non ve n'è altro": Israele arriva ad una consapevolezza piena dell'unicità di Dio. Mentre i popoli circostanti vivono nella paura e nell'adorazione di una miriade di divinità, spiriti, demoni, Israele è chiamato ad accogliere il dono della conoscenza dell'unico Dio, il Dio della libertà, dell'amore, della benedizione e della pace. Ma sorprendentemente Israele fa fatica ad accogliere l'annuncio liberante dell'unicità di Dio, ed è costantemente tentato di ritornare all'idolatria
"Osserva dunque le sue leggi e i suoi comandi che oggi ti do...": in effetti il Dio liberatore vuole uomini liberi che entrino in rapporto con lui, non schiavi sottomessi a qualunque oscura forza ultraterrena. Concretamente la libertà si attua nell'osservanza responsabile della Legge, nel rispettare la fraternità, nel rinunciare ad ogni forma di idolatria. Si tratta di una libertà impegnativa, di fronte alla quale può essere più comodo cedere alla tentazione di adattarsi a qualche forma, rassicurante, di schiavitù.

Flash sulla II lettura

Il fallimento dell'esperienza di Israele era dovuto all'incapacità di osservare la Legge. La legge di libertà, per la durezza del cuore dell'uomo, poteva diventa pesante come una catena. Il Dio liberatore, agli occhi di chi è immerso nel peccato, può assumere le fattezze distorte del guardiano o del carceriere, nemico della felicità dell'uomo. Si tratta di un colossale processo di fraintendimento, che ha le sue radici nella corruzione del peccato. Paolo annuncia la presenza dello Spirito e invita a gustarne gli effetti. Con lo Spirito l'osservanza della Legge non è più un pesante fardello, ma diventa finalmente una possibilità concreta; anche la preghiera non è un precetto da assolvere meccanicamente, ma diviene comunicazione viva con il Padre. Paolo insiste molto su questo: è lo Spirito che prega in noi. Solo nello Spirito possiamo rivolgerci al Padre, con assoluta libertà e spontaneità.