Omelia (21-03-2010)
Agenzia SIR


Gesù non si scompone dinanzi all'adultera. Invece si mostra duro verso quelli che erano scandalizzati a causa del suo perdono. In questi due atteggiamenti è il cuore del Vangelo di una domenica che fa da vigilia alla Settimana Santa di passione e resurrezione. Due cose mostra Gesù: il perdono e il cambiamento di vita, chiesti a tutti, ma soprattutto a quelli che si ritengono giusti e migliori degli altri, i più difficili a convincersi di essere in errore. Verso la donna portata in piazza come spettacolo (ma dove sono gli uomini che erano con lei?) Gesù ha un supplemento di amicizia e di misericordia. La invita a non volgersi al passato per rinnegarlo e maledirlo, ma di aprirsi al futuro e di guardare avanti per una nuova possibilità di vita.

Siamo nel mezzo della lotta tra la luce e le tenebre del male (i capitoli 7-10 del Vangelo di Giovanni); la luce è portata da Gesù, l'accecamento invece è frutto del male dell'uomo ed è paragonato al buio della notte. La luce smaschera l'ipocrisia e rivela il volto del Padre ricco di compassione e grazia di perdono. Il tutto in due frasi potenti e fulminanti: "Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei" e "Va', e d'ora in poi non peccare più". L'evangelista prediletto lo dirà anche nella sua prima lettera: "Chi dice: 'Non ho peccato!' è bugiardo" (1Gv 1,8-9) e "Chi ha conosciuto Dio non pecca" (1Gv 3,6).
Tra le due, nessun dubbio: è più forte la seconda. Riconoscere la sciagura permanente nella vita dell'uomo è sotto gli occhi di tutti ed è l'esito di un percorso facile all'interno della propria coscienza. Sentirsi dire, dall'unico e vero Innocente, "Neanch'io ti condanno" (insieme al seguito: "Va' e d'ora in poi non peccare più"), è assolutamente mai visto ed udito. Gesù non condanna, ma fa cominciare una vita nuova. E il Vangelo di oggi si accorda alla prima lettura ("Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche, faccio una cosa nuova, non ve ne accorgete?") e alla seconda ("Dimentico del passato e proteso verso il futuro corro verso la meta"). Entrambe dicono che alla fine ciò che conta davvero è il futuro.

È questione di nomi. Ai farisei che lo chiamano "maestro", Gesù si mostra tale e smaschera il pregiudizio; alla donna che lo chiama "Signore" mostra la signoria della misericordia. Senza Dio l'uomo è peccatore perché la solitudine è il peccato; l'uomo che ha incontrato Dio in Gesù e ne ha provato la misericordia, può aver fede e ricominciare dall'amore fraterno, anch'esso basato sulla misericordia e il perdono.

Inutile chiedersi cosa significa il gesto di Gesù che scrive per terra. Conta il suo silenzio davanti alla requisitoria di scribi e farisei e, più ancora, le sue parole. Eppure ci piace pensare che, a somiglianza di quello di Dio dinanzi a Mosè sul Sinai, il dito di Gesù incideva le tavole della nuova legge nel cuore dell'uomo. Nel suo movimento di abbassarsi e rialzarsi Giovanni anticipa il gesto (morte e risurrezione) con cui Gesù sta per riconciliare l'umanità con Dio. Di fronte all'adulterio del popolo Gesù annuncia il perdono definitivo.

Nei segni tracciati nella polvere dobbiamo leggere l'invito a guardare in avanti e a tirar fuori la speranza dal futuro, riaperto grazie al perdono ricevuto. Il perdono non è dimenticanza o cancellazione del passato, è però la possibilità di una vita diversa. Agostino lo dice molto meglio: "Dio non perdona i peccati, Dio perdona i peccatori. Se Dio perdonasse i peccati Gesù avrebbe detto a quella donna: va' e fa' come ti pare, fa' quello che ti pare, e invece gli dice va' e non peccare più. Quindi non perdona i peccati, perdona i peccatori, cioè ci dà la possibilità di iniziare qualcosa di nuovo".

Commento a cura di Don Angelo Sceppacerca