Omelia (22-06-2003) |
Paolo Curtaz |
Il dono dell'Eucarestia Ne resto stupito, alle volte. Girando per le case, avendo l'immensa gioia e fortuna di conoscere molte persone, si giunge sempre, stringi stringi, ad alcuni temi dominanti che hanno a che fare con la fede (o comunque con ciò che la gente si immagina sia la fede...). Tra questi, il dominante, è sicuramente la Messa. Oh, famigerata Messa! Quante se ne dicono, si dovrebbe stampare un prontuario di frasi fatte: "Io credo, ma a Messa non ci vado", "Non è necessario andare a Messa per fare il bene", "Sì, ci andrei, ma proprio la domenica!", "Quella Messa è estremamente noiosa". Vi ritrovate? Bene: siete in buona compagnia. Ma oggi, fratelli, amici, oggi occorre star zitti e lasciar parlare la Parola. Oggi bisogna avere il coraggio di smettere di vomitare fiumi di parole tirate fuori per l'occasione e mettersi in ascolto. Non bastava il volto Trinitario del Dio manifestatoci da Gesù. Non bastava la vita di Dio piantata nel nostro cuore col Battesimo. Non bastava la Parola che, fatta vibrare all'unisono col nostro cuore dallo Spirito Santo, ci scava la vita. Non bastava l'esperienza di una comunità che condivide la fede. Gesù aveva bisogno, conoscendo la nostra inaudita durezza di cuore, di porre un gesto di presenza definitivo, inequivocabile, che per sempre avesse stipulato un contratto di amicizia, un'alleanza nuova. E inventò l'Eucarestia. Semplicemente Dio si rende presente nel segno più significativo dell'essere umano, la mensa, e si dona come cibo. Nulla di più, nulla di meno. E tra le poche cose chiarissime, inequivocabili del Vangelo c'è proprio questa cena fatta qualche ora prima di essere inchiodato alla croce, sospeso fra cielo e terra. Una cena conclusasi con un invito pressante: "Fatelo in memoria di me". E san Paolo, qualche decennio dopo, esortava i fratelli cristiani ripetendo le stesse parole. Ce le immaginiamo queste piccole comunità che il giorno dopo il sabato (la domenica, proprio, "dies dominicum", giorno del Signore) si ritrovano di nascosto a ripetere quel gesto, a rendere presente il Signore. Questo è il Mistero della presenza reale, concreta, attuale, salvifica di Cristo nell'Eucarestia. Ci siete ancora, fratelli? Ora ditemi: che c'entra tutto questo col dovere, con la noia, con l'orologio? Eppure è così, è drammaticamente così: Dio ci dà appuntamento, la cena si ripete, in un crescendo di preghiera e di tensione, di presenza concreta e reale del Signore Gesù che ci cambia la vita. E noi a sbadigliare, a guardare l'ora, a gingillarci come davanti a un film noioso. Rabbrividisco, alle volte, di fronte alla poca fede mia e delle nostre comunità. Ho paura, alle volte, rileggendo le parabole di Gesù sul popolo di Israele che non riconosce il Messia, troppo barricato dietro ai propri luoghi comuni. Il problema è semplice: la nostra fede è poca, al lumicino. E allora la Messa è peso, fatica, incomprensione. Certo, anche noi sacerdoti abbiamo una grave responsabilità, quella di mettere del nostro meglio per rendere la celebrazione luogo dell'incontro. Ma, fatto il possibile, in collaborazione reale con l'assemblea, il problema diventa semplicemente la fede: accogliere con stupore, celebrare con verità l'Eucarestia. Se è così, l'Eucarestia diventerà il centro della settimana, la Parola celebrata ritornerà in mente durante il lavoro e lo studio. E l'incontro con Cristo Eucarestia, con questo corpo dato, mi cambierà inesorabilmente il modo di vivere, di pensare, di amare. E' vero che c'è gente che fa il bene senza bisogno di andare a Messa, ma per me cristiano il Bene deriva dall'incontro con Cristo. E' vero che la preghiera può essere personale, ma l'incontro della comunità ci fa sentire ed essere Chiesa. E' vero che alle volte non tutte le omelie brillano per attualità e concretezza, ma è la Parola al centro, non la sua spiegazione. E' vero che la domenica è il giorno del riposo, ma il riposo è affare di cuore, non di sonno. Concludo (ma quanto altro vorrei dirvi!) con una citazione straordinaria dei martiri di Abitene. Scoperti a celebrare l'Eucarestia, il governatore romano, indulgente, gli promise di avere salva la vita, a patto che non si ritrovassero più. Risposero: "Non possiamo fare a meno di celebrare il giorno del Signore" e si fecero uccidere. Che questa sia la prospettiva in cui mettersi per riscoprire l'inaudito dono dell'Eucarestia. |