Omelia (22-06-2003)
don Fulvio Bertellini
Il segno e la realtà

Nicola, animatore del GREST, quarta superiore, sta giocando con Laura, quinta elementare, una improbabile partita a biliardino. Dal punto di vista strettamente tecnico in effetti non c'è competizione: in ogni momento Nicola può vincere, ma fa finta di essere in difficoltà per compiacere la bambina, che da parte sua fa finta di credere di poter battere l'animatore. Qual è lo scopo di questa strana occupazione di questi due esseri umani? E per quale motivo i due sembrano divertirsi tanto? E' chiaro che lo scopo di Nicola non è di vincere per mostrare quanto è bravo. L'anno scorso, animatore ancora inesperto, faceva così, e schiantava i bambin a suon di dieci a zero. Ma dopo un po' nessun bambino si metteva più a giocare con lui. Anche perché Nicola era talmente teso alla sua partita da non guardare in faccia l'avversario e non rivolgergli nemmeno una parola. Poi un giorno il don l'aveva preso in disparte e gli aveva detto: "Qui non sei al campionato mondiale di biliardino. Lo scopo del gioco e di tutto quello che facciamo è incontrare le persone e fargli capire che gli vuoi bene".

Comunicazione e comunione

Non stiamo qui a disquisire di filosofia del biliardino. Ma la radice profonda di ogni attività umana è proprio la comunicazione e lo scambio di amore. In una partita di bliardino, in qualunque gioco, in un pranzo preparato bene, in un regalo che offriamo, in ogni nostra attività ben riuscita ciò che cerchiamo è comunicare amore. Se non è così, allora il senso fondamentale del nostro agire è appropriarci del piacere. Nel desiderio di vincere, nell'esibizione vanitosa delle proprie qualità, nella realizzazione ossessiva dei propri obiettivi il senso fondamentale della vita dell'uomo si distorce, e da comunicazione con l'altro diventa affermazione di se stessi. E questa è la radice del peccato. Ma non di questo vogliamo occuparci, bensì di un altro aspetto da cui stavamo partendo. Si tratta del fatto che la comunicazione esige sempre un canale, un mezzo per esprimersi. Può essere un biliardino, una partita di carte, un regalo, un discorso, un'esperienza, un gesto... la comunicazione esige dei segni, un'intermediario tra l'io e il tu che si mettono in dialogo.

Incomunicabilità?

La cultura moderna, nel cinema, nel teatro, nella letteratura, ha più volte teorizzato l'incomunicabilità assoluta. E' vero che nella nostra cultura comunicare è sempre più difficile. E' anche vero che ci sembra di non riuscire mai ad esprimere in assoluto ciò che sentiamo. D'altra parte però - e qui è il vero nocciolo del discorso - è forte la tentazione di pretendere una comunicazione assoluta e diretta, una comunicazione immediata. E se questo non si realizza, parliamo di incomunicabilità. Fa ancora una volta capolino la vecchia pretesa di essere come Dio, da sempre la tentazione fatale: ci è faticoso accettare di essere limitati, e di poter realizzare una comunicazione e una comunione limitata.

Il Verbo fatto carne e fatto pane

Gesù invece accetta il limite umano: facendosi carne, accetta i limiti della comunicazione umana. Ma mentre li accetta, li porta al massimo grado: con le parabole, con i miracoli, con ogni suo gesto, il Salvatore libera la capacità di esprimersi e di entrare in relazione. Gesù libera la capacità di amare, pur accettando il limite proprio dell'uomo, che non può realizzare una comunicazione immediata e una comunione assoluta. Quello che nessun uomo poteva realizzare, lui lo ha realizzato, massimamente sulla croce. Sulla croce a mio parere si realizza la comunione e comunicazione perfetta: si annulla la differenza tra segno e realtà, tra densità simbolica e reale efficacia. E l'Eucaristia, memoriale della croce, partecipa della stessa perfezione comunicativa. Dal mistero del verbo fatto carne, si passa al mistero del Verbo fatto pane: il segno che rappresenta il Dio fatto uomo partecipa della sua stessa efficacia salvifica.

Anticipazione e memoria

Il Vangelo di oggi mostra come Gesù anticipa per i discepoli il senso della Passione nel momento della cena. Si tratta indubbiamente di un "segno", di una comunicazione mediata, con una realtà che ne significa un'altra. Ma in quel segno è già presente in anticipo, tutto intero, l'amore di Cristo che lo porta a morire sulla croce. E per questo possiamo renderlo presente oggi, ogni volta che celebriamo l'Eucaristia e "facciamo la comunione".


Flash sulla I lettura
"Mosè andò a riferire tutte le parole del Signore e tutte le norme": la pericope odierna ci presenta un rituale di alleanza. Il termine latino che indica l'alleanza, "testamentum", ha dato origine alle nostre espressioni "Antico Testamento" e "Nuovo Testamento": la prima alleanza (o le molte alleanze) tra Dio e Israele, e il suo compimento/rinnovamento in Gesù. Si tratta dunque di una categoria assolutamente centrale e fondamentale, in cui si riassume un'istanza fondamentale per l'uomo.
"Tutti i comandi che ha dati il Signore, noi li eseguiremo": il primo aspetto che l'uomo coglie nell'Alleanza è quello di una legge da eseguire; è l'aspetto più concreto e immediato. L'Alleanza si presenta come una direttiva per l'esistenza, che esige un impegno radicale.
"Incaricò alcuni giovani tra gli Israeliti di offrire olocausti...": tuttavia l'Alleanza non si riduce al solo aspetto legalistico. Si mette in atto un complesso rituale che coinvolge i giovani degli Israeliti e il sangue dei sacrifici. Istintivamente noi saremmo tentati di bollare come residuati di una mentalità arcaica e simbolica tutti questi riti, e di mantenere unicamente l'esigenza morale dell'osservanza della Legge.
"Mosè asperse il popolo dicendo: "Ecco il sangue dell'Alleanza, che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole". Il sangue rappresenta la vita comune che ora intercorre tra Dio e il popolo. La realtà profonda dell'Alleanza non si limita all'esecuzione di un regolamento di vita, ma tocca il significato stesso della vita, ed è una realtà di comunione. Tra Dio e l'uomo c'è un'esigenza profonda di comunicazione, ed è questa la tensione radicale a cui aspira l'Antico Testamento. Se non la comprendiamo, non comprendiamo la Nuova Alleanza portata da Gesù.

Flash sulla II lettura

L'autore della lettera agli Ebrei affronta con decisione le conseguenze della venuta di Cristo e il suo rapporto con l'Alleanza. Al riguardo, la sua tesi fondamentale è che essa ha raggiunto il livello della "realtà": mentre gli antichi sacrifici rimanevano ad un livello di "immagine", ad un livello "esteriore", la Nuova Alleanza stabilita da Gesù raggiunge il livello della "realtà" e dell'interiorità.
"Non con sangue di capri e di vitelli, ma con il proprio sangue...": Gesù non compie un sacrificio con elementi esterni, ma offre la sua stessa vita e la sua stessa persona, e in tal modo compie l'esigenza profonda del sacrificio: esprimere e realizzare la comunione tra Dio e l'uomo.
"Entrò una volta per sempre nel santuario...": mentre gli antichi sacrifici restavano al livello espressivo, Gesù raggiunge effettivamente il sanutario, ossia la perfetta intimità con Dio.
"Quanto più il sangue di Cristo... purificherà la nostra coscienza dalle opere morte per servire al Dio vivente?": L'esito finale della salvezza è quindi la purificazione della coscienza, per poter servire al Dio vivente. Non è però un approdo moralistico: ciò che si annuncia qui è un rinnovamento radicale di tutto l'uomo, non raggiungibile con le sole opere, e che esige l'intervento del sangue di Cristo.