Omelia (22-06-2003) |
don Elio Dotto |
Il coraggio delle cose ultime Il Vangelo di domenica (Mc 14,12-16.22-26) ci racconta l'ultima sera di Gesù con i suoi discepoli: è uno dei ricordi più preziosi che gli evangelisti ci hanno tramandato. Anche noi, dopo che è morta una persona cara, ricordiamo con cura gli ultimi incontri: l'ultima parola, l'ultima festa, l'ultimo Natale, l'ultimo compleanno, e tante altre cose ultime... Noi cerchiamo facilmente con il ricordo quegli ultimi momenti passati insieme, quasi aspettandoci di scorgere in essi un messaggio, un testamento... Eppure noi non avremmo voluto – in fondo – che quegli incontri fossero davvero gli ultimi. Non soltanto perché non avremmo voluto perdere quella persona cara; ma soprattutto perché noi abbiamo paura delle cose ultime. Noi infatti preferiamo i tempi incerti di ogni giorno, quei tempi in cui non ci è richiesto di fare scelte definitive, quei tempi provvisori che rimandano al domani le decisioni ultime. Noi abbiamo paura delle cose ultime: e così ci accontentiamo facilmente di cose banali e futili. Gesù sembra invece cercare ed amare le cose ultime. Quella sera – in particolare – Gesù sapeva di essere giunto alle ultime ore della sua vita: sapeva che non avrebbe più bevuto del frutto della vite. E desiderava ardentemente vivere in pienezza quegli ultimi momenti. Certo non era contento di morire: anzi sentiva tutta l'angoscia per quella morte ingiusta che gli veniva inflitta dai Giudei. E tuttavia non voleva fuggire quell'ultimo momento: perché sapeva che proprio in quell'ultimo momento si sarebbe compiuta la sua missione. I discepoli invece avevano paura di quell'ultimo momento. Essi quella sera pensavano a tutt'altro: pensavano soprattutto a come custodire l'onore e la fama che si erano procurati alla sequela di Gesù. E infatti discutevano di chi fosse il più grande, sognando un futuro di gloria e di potere (cfr Lc 22,24ss.). I discepoli avevano paura delle cose ultime, e preferivano cullarsi nel pensiero di tante altre cose più futili... In tal modo i discepoli assomigliavano molto a quella folla che Gesù aveva saziato moltiplicando i pani e i pesci (cfr Gv 6). Anche quella folla fuggiva dalle cose ultime, e preferiva invece accontentarsi di avere la pancia piena. Ma Gesù sapeva che non era sufficiente avere la pancia piena per vivere in pienezza: allora subito congedò la folla e i discepoli – perché non si compiacessero troppo di quello che era successo – e si ritirò tutto solo sul monte, a pregare il Padre. Perché appunto quella sua fede nel Padre era la cosa ultima, la cosa che davvero contava. Gesù dunque non si accontentava di cose banali e futili, ma aveva il coraggio delle cose ultime. E in quell'ultima sera, prima di lasciare i suoi discepoli, egli volle consegnare un segno di quel coraggio. Con il pane e con il vino egli consegnava ai discepoli la sua vita, perché anche loro imparassero quella fede nel Padre che è davvero la cosa ultima e più importante della vita. Perché non basta avere la pancia piena per vivere in pienezza; non basta accontentarsi delle piccole cose banali che la vita ci offre. È invece necessario avere una fede, per affrontare tutte le cose con coraggio, senza rimandare al domani le scelte che possono essere fatte oggi. Il pane e il vino che Gesù ci dona nell'Eucaristia sono appunto la testimonianza che una fede così è possibile: perché come Gesù ha avuto il coraggio di donare la sua vita fino alla fine, così può accadere anche a noi. |