Omelia (08-06-2003) |
don Romeo Maggioni |
Lo Spirito che io vi manderò dal Padre, mi renderà testimonianza Festa di Pentecoste; non tanto memoria di un fatto passato, ma di un evento permanente, perché dalla destra del Padre Gesù continuamente manda Colui "che mi dà testimonianza, perché prenderà del mio e ve lo annunzierà". Puntiamo gli occhi oggi sul rapporto Gesù-Spirito santo e quindi su quanto lo Spirito compie in noi a nome e in favore di Gesù. 1) DA DOVE VIENE? Domandiamoci subito: da dove viene lo Spirito santo? Capitò così. Con la morte e risurrezione l'uomo Gesù viene a "sedere alla destra del Padre", e per suo tramite l'umanità viene quindi a far parte della Trinità; un pezzo vero di umanità è unita alla divinità, al Figlio uomo-Dio. Ora proprio attraverso Lui - attraverso la sua umanità da una parte ormai congiunta con Dio e dall'altra con tutta la creazione - deborda e tracima sugli uomini quella ricchezza di vita che corre tra il Padre e il Figlio, il vincolo d'amore che li lega, che è lo Spirito santo. Dice San Pietro il giorno di Pentecoste: "Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni. Innalzato dunque alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito santo promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire" (At 2,32-33). E' quel soffio o respiro di Cristo risorto che egli alita sugli uomini in una perenne Pentecoste (cfr. Gv 20,22). Ma chi è questo Spirito che Gesù manda? San Paolo lo chiama "lo Spirito del Figlio suo" (Gal 4,6): è lo "Spirito del Figlio" nel senso che ci fa figli come il Figlio. Lo Spirito, che in Maria ha generato l'uomo Gesù che è il Figlio di Dio, ha poi affiancato la libertà di quell'Uomo, lo ha fatto crescere nella coscienza di essere Figlio e quindi nella docilità al Padre, trovando sempre in lui una disponibilità piena. Ebbene quello Spirito, che ha fatto dell'uomo Gesù il più riuscito Figlio di Dio, è donato ora a noi per fare di noi come Gesù altrettanti figli di Dio. Ci fa sentire Dio come Padre alla stessa maniera che l'ha sperimentato il Figlio. Nell'uomo Gesù lo Spirito ha come incominciato ad "accasarsi" tra noi, ad assuefarsi e abituarsi a stare tra gli uomini, divenendo lo Spirito del Figlio, insegnando a Gesù a dire: Abbà al Padre. Ora questo viene a farlo in noi, ci educa e ci fa sperimentare Dio come Abbà. Gesù ne aveva parlato a lungo, presentando lo Spirito santo essenzialmente come colui che avrebbe preso il suo posto, ma non fisicamente visibile - legato cioè ad uno spazio/tempo -, bensì nel cuore di ognuno, come "paraclito", colui che sta vicino, dentro, come assistente e difensore. "Non vi lascerò orfani. Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore (=paraclito) perché rimanga sempre con voi" (Gv 14,16.18). Il suo compito è di rappresentare Gesù, portarne a compimento l'opera, agire al posto e a nome di Gesù: "Prenderà infatti del mio e ve l'annunzierà". In sostanza lo "Spirito di Cristo" che era in lui ora passa a noi per costruire in noi dei figli di Dio; è lo Spirito che, finito di fare del "Capo" un Figlio di Dio, ora passa alle "membra" per farle tutte - simili al "capo" - figli di Dio. 2) CHE COSA FA? Lo Spirito è l'operaio di Gesù (Tertulliano lo chiama il "vicario di Cristo e suo amministratore"), che opera in noi prima una "incorporazione" a Cristo, poi una "conformazione" a Lui. Sappiamo che l'uomo nasce in questo mondo decaduto e macchiato dalla colpa originale. Il progetto iniziale di "predestinazione" in Cristo è in qualche modo rovinato (San Bernardo dice: rimane l'immagine, si è persa la somiglianza), è solo parziale e incoativo, e aspira ad essere compiuto e sublimato dall'azione redentrice. Il punto d'incontro - privilegiato e decisivo - tra l'uomo che si apre con la fede e lo Spirito santo è il battesimo, luogo della nuova nascita. Qui scatta una prima connessione con Cristo (opera speciale dello Spirito): di essere "immersi", cioè uniti "mistericamente" alla sua morte-risurrezione per ottenere perdono e giustificazione. Il peccato (nel quale siamo coinvolti fin dalla nascita) ha reso la vita naturale chiusa, "ricurva" su se stessa, refrattaria ad accogliere la vita divina (unico progetto cui siamo destinati!). Diciamo: nasciamo ribelli. Cristo in croce ci ha ottenuto di togliere questo rifiuto e riaprirci a Dio, attraverso il perdono (o giustificazione). Essere sepolti con Lui significa in sostanza divenire partecipi dell'atto di piena apertura a Dio compiuto da Gesù a nome nostro e per noi; per ottenere così la vita nuova, la vita con Dio, la vita d'amicizia con Dio; cioè la vita stessa divina. Tolto l'ostacolo - lavato il peccato - irrompe in noi la vita divina come acqua viva, che è poi in concreto la vita propria di Gesù, "lo Spirito del Figlio suo". Si tratta dello Spirito di Cristo, l'energia vitale divina che invade ancora la sua umanità e che viene immessa in noi per farci vivere come Lui. In sostanza viene a realizzarsi qui - a inverarsi - (tolto appunto l'ostacolo della nostra ribellione) quella predestinazione a essere "a immagine del Figlio suo", anzi ad essere "uno con Lui", "figli nel Figlio", parte di Lui, membra di Lui, noi in Lui come "Christus totus". Si attiva in definitiva quella connessione creaturale con Cristo primogenito e prototipo di ogni creatura, che neanche il peccato ha potuto rompere. L'immagine che meglio esplica questa realtà è quella dell' "innesto", del tralcio selvatico innestato sulla "vite vera" che è Gesù. Da qui parte poi tutta l'azione dello Spirito per sollecitare la libertà a collaborare e gradualmente arrivare a divinizzare tutta l'esistenza, cioè a "rivestirsi di Cristo". E' quell'operazione che più propriamente chiamiamo "conformazione". Dapprima l'influsso dello Spirito è sulle singole azioni, illuminando la retta coscienza a scelte giuste: è ciò che chiamiamo grazie attuali. Poi dagli atti si passa alle loro radici, là dove l'uomo vive le sue funzioni più tipiche di intelligenza, volontà e cuore. Lì appunto lo Spirito interviene a risanare, a rafforzare e a sublimare queste capacità con quello che noi chiamiamo il dono della fede, della speranza e della carità. Se questa nostra libertà collabora attraverso quel che noi chiamiamo vita ascetica, cioè col togliere gli ostacoli (vivere secondo lo Spirito – dice oggi la seconda lettura), allora gradualmente si realizza quella 'trasfigurazioné di cui parla san Paolo: "Noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l'azione dello Spirito del Signore" (2Cor 3,18). In questo senso si arriva a parlare di inabitazione della Trinità in noi, divenuti realmente 'creature nuove', trasformate ma rispettate nella nostra identità di uomini e di interlocutori liberi e personali. É azione decisiva oggi per noi quella dello Spirito.. "del Figlio suo". Viviamo non la negazione di Dio, ma un sordo sospetto e rancore nei suoi confronti. Chi prende sul serio le notizie di stragi, genocidi, pulizie etniche, terremoti ..e tutto il cumulo di dolore innocente, di masse di profughi diseredati e affamati.., gli viene il dubbio sulla "paternità" di Dio! Il cuore naufraga nell'assurdo di questo mondo, e dubita di un Dio che s'interessi all'uomo! Se poi capita - come o prima o poi capita - che ti si attacchi una disgrazia, una sofferenza, una prova,... quanto sfumano in belle favole tutte le parole bibliche sull'amore di Dio! Non c'è teologia che tenga quando la pelle brucia! Proprio qui allora lavora lo Spirito, per caricare interiormente il cuore della certezza dell'affidabilità di Dio Padre, nonostante tutto, senza ribellarci; come è già avvenuto per Gesù al Getsemani. Qualcuno c'è riuscito - oltre Gesù. Sant'Ignazio di Antiochia era in viaggio - prigioniero - verso Roma dove l'aspettava il martirio. Ma non era disperato. Si sentiva sostenuto da una serenità e fiducia come d'un'acqua fresca che ristora nel bruciore della tragedia. Scrive: "Io sento dentro di me un'acqua viva che mormora e dice: Vieni al Padre!" (Lett. ai Romani, 7,2). L'acqua è lo Spirito che attira a Dio. |