Omelia (06-07-2003)
mons. Antonio Riboldi
C'è un grande bisogno di verità

Facile imbattersi in persone che amano sul serio i loro cari, come i figli, gli sposi, gli amici. La via che percorrono tutti, per creare la grande cattedrale della verità, in cui l'uomo può trovare la gioia della vita, è la parola comunicata.
Chi di noi non ricorda quelle che io allora chiamavo "le prediche di mamma"? Me ne faceva tante e tutti i giorni, nella speranza che qualche consiglio mettesse radice per la vita. E vi assicuro che di radici ne ha messe tante, perché le sue parole non erano mai il chiasso della voce che, quando va bene, mette solo confusione o scompiglio, o altro.
Gesù tante parole nostre, oggi, le chiamerebbe "gramigna" nel campo di grano, "gramigna seminata dal demonio nella notte", che alla fine sarà sradicata e gettata nel fuoco.
"Ci siamo detti tante parole tra me e il mio ragazzo, diceva una ragazza, ed alla fine tutto si è rivelato un prendersi in giro: quelle parole, che sembravano contenere la bellezza di un amore, che non conosce tramonto e che sono la gioia su cui fondare la vita, alla fine si sono rivelate fuoco di paglia, che ha bruciato tutte le mie speranze e la stessa voglia di vivere".
Ed una mamma, assistendo ai funerali del figlio, vittima della droga, mi sussurrava in un dolore che difficilmente ha confini: "Gli ho costruito la vita con i miei consigli, che attingevo dalla Parola di Dio, che è sempre la via giusta, ma altri hanno deriso le parole di vita e lentamente gli hanno edificato la tomba della droga. Chi ora mi ridarà mio figlio? Verrebbe voglia di urlare a tutti i mercanti di droga che sono assassini...ma quelli mi riderebbero forse in faccia, perché a loro non interessa la vita dei figli, ma il vile profitto, questo maledetto sterco del demonio".
Potremmo tutti raccontare storie di dolore fondate su parole false diventate piste di dolore e di morte. E purtroppo il mondo, in tanti modi, è davvero diventato, con le parole, seminatore di inganno, irridendo la verità.
Tutti dovremmo sapere che Dio è la sola Verità: una verità che contiene amore, solo amore. E Dio ha voluto che Gesù, suo Figlio tra di noi, fosse la Parola su cui misurarsi e da cui lasciarsi guidare. Mentre le parole nostre troppe volte non conoscono la legge dell'amore ma sono dannosi suggerimenti che fanno male.
E' bello vedere come Dio, che non si rassegna mai davanti al nostro rifiuto della Verità, che ripeto è Amore proclamato ad alta voce, necessità del cuore, oggi esprime così il suo non arrendersi alla nostra sordità. Dice ad Ezechiele il profeta: "Figlio dell'uomo, io ti mando dagli Israeliti, a un popolo di ribelli, che si sono rivoltati contro di me. Essi e i loro padri hanno peccato contro di me fino ad oggi. Quelli ai quali ti mando sono figli testardi e dal cuore indurito. Tu dirai loro: "Dice il Signore Dio. Ascoltino o non ascoltino - perché sono una genìa di ribelli - sapranno almeno che un profeta è in mezzo a loro" ( Ez.2,2-5).
Toccò anche a Gesù, narra il vangelo di Marco, di conoscere la sordità del suo popolo. Racconta Marco che Gesù andò nella sua patria e, quando nella sinagoga prese la parola, per insegnare, "rimanevano stupiti", ma subito anziché porre l'attenzione alle parole, che uscivano dalla bocca di Dio, si misero a discutere sulla sua origine, sulle sue condizioni sociali, che evidentemente non avevano mai suscitato interesse mondano o scalpore (come invece è uso per i ciarlatani del nostro tempo che si ergono a profeti dell'umanità). Gesù si accorse del rifiuto, e disse: "Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua". E non vi potè operare nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi ammalati e li guarì. E si meravigliò della loro incredulità" (Mc. 6,1-6).
Ma nonostante l'apparente indifferenza di fronte a Dio che ama parlare a noi, c'è oggi tanta voglia di uscire dal ghetto delle parole che o ingannano o dicono proprio nulla. Ricordo di essere stato invitato un giorno per una grande festa in una città. "Qui", mi diceva il sacerdote, "per festa si intende mangiare e divertirsi. Non c'è posto né per la Parola di Dio, né per la cultura.
Abbiamo invitato tanti, sempre un fiasco". Quando fu sera, nella grande aula, alle ore 21, c'erano sì o no 20 persone. "Questi sono i soli che ogni anno vengono ad ascoltare". Attesi il cosiddetto quarto d'ora dei pigri. D'improvviso la sala si riempì fino a costringere tanti a stare fuori, accontentandosi di ascoltare dalle finestre. "Cristo è la Verità di cui abbiamo sete", era il tema. Era quasi mezzanotte quando si finì, senza che nessuno si fosse allontanato. Quando tentai di sciogliere l'assemblea, uno mi gridò: "Continui, Padre, qui si respira aria di vita, fuori c'è il tanfo delle cose morte".
Ma perché l'uomo quasi ama di più affidarsi alla menzogna che alla Parola di Dio? "Dio, quando parla", disse Paolo VI, "non forza le anime: le lascia libere: vuole che rispondano con il cuore, spontaneamente. Iddio ci largisce molti doni, indica il cammino; ma stabilisce che noi abbiamo a cooperare. Se fosse lampante ogni suo precetto, se noi avessimo la conoscenza razionale, diretta,
evidente, delle verità di fede, non avremmo più nessun merito. Dio ci conduce fino alla porta perché noi, volendo possiamo liberamente varcare la porta benedetta. Nel Vangelo, nell'economia del Regno divino, ci sono tante oscurità, perché chi non vuole guardare non veda; e c'è immensa luce perché chi vuole possa vedere. Cioè, il Signore lascia a noi di scegliere, di decidere, il merito di dire: io credo e intendo essere fedele...Purtroppo, continua Paolo VI, tanti che si credono intelligenti o "sapienti", secondo il metro di questo mondo, insistono nel loro ripudio. E si servono del lume divino, che è la ragione, non per cercare la verità, non per accogliere con simpatia e con gioia la luce di Dio, che entra nelle anime mediante le parole del Vangelo, ma per così dire, chiudono le finestre e usano al contrario proprio la ragione per negare le verità del Credo, e quindi resistere al Signore" (Paolo VI, 21 Marzo 1965).
C'è tanto bisogno, ma tanto che in ciascuno di noi, tra di noi, nelle nostre relazioni, nella famiglia, torni Gesù a parlare e noi ad ascoltare. Abbiamo bisogno, se amiamo la sincerità nei nostri rapporti con Dio e con chi ci è vicino, di dare più spazio all'ascolto della Parola. In tante Chiese sono istituiti i cosiddetti "centri di ascolto", ossia luoghi, come piccole Chiese, dove si impara ad ascoltare la Parola e vivere la Parola.
Dobbiamo fare tornare, con la nostra fede, la meravigliosa libertà dell'ascolto, riportare al centro di tutto, la Parola. Non permettiamo, come successe a Nazaret, che Gesù, amareggiato, debba vedersi rifiutato perché preferiamo le parole del mondo. Il "TI AMO", che è ciò che ci unisce a Dio, che è il fondamento dei nostri rapporti a qualunque livello, deve conoscere "la roccia" della Parola, che evita quell'oceano di dolori o amarezze, che pare è nel nostro mondo. Una di queste sere partecipai ad una manifestazione per la Madonna Pellegrina di Fatima. C'era una marea di gente. Esposi con semplicità e serenità la necessità della Parola che illumina la vita, la sofferenza, la famiglia. Alla fine era palpabile la gioia della gente: al punto che un gruppo si avvicinò e mi disse: "Padre, dopo questa sera, con Maria e lei, nessuno qui andrà a letto con le pillole; La Parola ci ha ridato la gioia di dormire in pace".
Antonio Riboldi - Vescovo
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