Omelia (01-04-2010) |
Marco Pedron |
Giovedi Santo La grande domanda che accompagna questa settimana è: "Ma chi gliel'ha fatto fare?". Partiamo dalla fine. Si stava prospettando una fine violenta e orribile: come visse Gesù questa possibilità? 1. Gesù fu angosciato come chi non sa cosa lo aspetta. Senso di nausea, angoscia, paura, desiderio che tutto in un attimo cambi e si risolva, rifiuto per ciò che potrebbe accadere. Il Getsemani esprime bene tutta questa angoscia. 2. Un secondo motivo di angoscia fu la previsione dei maltrattamenti: sapeva bene cosa lo avrebbe aspettato. Non era questione solo di poter morire, ma di morire tra tormenti e torture. Tutti noi sappiamo quanto l'aspettativa del terrore e del male sia essa stessa una tortura. 3. Un terzo motivo di angoscia era il significato religioso di una morte del genere. Veniva condannato come un bestemmiatore, un eretico, un senza-Dio, proprio lui che per Dio e che per suo Padre aveva sempre vissuto, ne aveva fatto la causa e il centro della sua vita. Gesù ha provato una rabbia enorme, un disgusto e una ribellione feroce, nel sentirsi infangato, accusato e condannato, in maniera falsa, a causa di quello per cui aveva sempre vissuto. Per questo sulla croce disse: "Perdonali, perché non sanno quello che fanno". 4. Un quarto, forse il più forte motivo di angoscia, era equiparare la possibilità della sua morte al fallimento della sua vita. Lui, che aveva la medicina (Dio) per salvare gli uomini dalla catastrofe, non può fare nulla. Tutto il suo operato sembra finire e andare in frantumi. Tutto sembra dissolversi e sciogliersi. Gesù vive il dramma di aver sbagliato tutto, di essersi ingannato, di aver creduto in una Bontà che non c'è e in un Dio che non può salvare l'uomo. Come andarono le cose? I Romani. Chi storicamente condannò Gesù fu Ponzio Pilato (i vangeli tendono a minimizzare, a ridurre, l'importanza romana). A quel tempo vi erano focolai molto attivi di zeloti che dicevano: "Solo Dio è il nostro Signore". I Romani, quindi, se ne dovevano andare con le buone o con le cattive. Gli zeloti furono responsabili di molte sommosse contro i romani, provocandone poi le ritorsioni. Fra i discepoli di Gesù vi era uno zelota, Simone il Cananeo. Gli zeloti stessi confidavano molto in Gesù e furono delusi quando capirono che il regno di Gesù era di tutt'altro tipo. Forse anche Giuda Iscariota apparteneva a questo movimento e forse proprio per questo consegnò Gesù al sinedrio (deluso dal regno non violento di Gesù). Barabba probabilmente era uno zelota e i due che morirono a fianco di Gesù erano membri di una rivolta antiromana. Pilato condannò Gesù per motivi politici: le motivazioni religiose gli interessavano poco. Pilato lo condannò perché si insinuava che Gesù invitasse a non pagare le tasse ai romani e perché rivendicava per sé il titolo di re, di Messia, cosa inaccettabile per un romano. Pilato lo condannò persuaso di trovarsi di fronte ad un uomo pericoloso, capace di suscitare tumulti nel popolo. L'unico interesse di Pilato era la salvaguardia dei delicati equilibri politici del tempo. Pilato processò Gesù. Avrebbe potuto condannarlo subito, senza nessun processo. Questo ci dimostra che non credette ai reati che venivano contestati dal sinedrio e dal sommo sacerdote. Quando Pilato chiese a Gesù: "Dunque tu sei re?" e la risposta fu il silenzio di Gesù (la prima volta Gesù gli rispose: "Tu lo dici"), l'effetto di tale silenzio fu l'ammissione di Gesù di essere re e, agli occhi di Pilato, di non riconoscere la sovranità di Roma. Nel diritto di allora infatti il silenzio era interpretato come tacita ammissione (chi tace acconsente!). Da qui la sentenza che diceva così: "Salirai sulla croce". Gli ebrei. Gesù aveva cacciato i mercanti e i venditori dal tempio: questo gesto gli fu fatale. Per Gesù il gesto voleva dire: "Non sono il tempio e le offerte che sono gradite a Dio, ma un cuore puro". Ma i religiosi del tempio interpretarono come falsa profezia e bestemmia tutto ciò. Questo reato prevedeva l'esecuzione capitale. Gesù fu interrogato nella casa di Anna dal sommo sacerdote Caifa e poi da una parte dei membri del sinedrio. L'interrogatorio non aveva valore giuridico, ma era solamente una consultazione sul da farsi. Il sinedrio ritenne opportuno consegnare Gesù a Pilato con segnalazione di reato con accuse antiromane. Da una parte si temeva che, dopo l'azione dimostrativa nel tempio, Gesù potesse provocare altri tumulti e, di conseguenza, la reazione romana. Dall'altra, Gesù si riteneva il Messia, ma l'immagine popolare diffusa (fra cui vi era anche la lotta armata del Messia) era molto lontana da quella che Gesù dava. Gesù, quindi, veniva considerato un bestemmiatore. Forse vi erano anche interessi personali delle famiglie sacerdotali che traevano vantaggi dal tempio: quindi era meglio sbarazzarsi di uno come Gesù. In ogni caso furono le ragioni politiche più che quelle religiose a pesare sulla scelta. Era vicina la festa della Pasqua e bisognava far presto: lasciare in sospeso quel problema risultava rischioso. Sapevano che presentandolo come uomo antiromano (il sinedrio aveva la sua influenza su Pilato) quasi sicuramente lo avrebbero condannato alla croce. Ma, ritennero migliore "la morte di un solo uomo piuttosto che la perdita di tutto il popolo". Le folle. Gerusalemme aveva circa 50.000 abitanti e altri 150.000 fuori dalla cinta muraria. A Pasqua con i pellegrini si arrivava a mezzo milione. Proprio per questo Gesù non poteva essere arrestato in pieno giorno in mezzo ad una folla enorme: il pericolo di sommossa era troppo elevato. Così nei giorni precedenti poté muoversi con libertà e confondersi fra la gente. Una parte della folla gli era favorevole: aveva un'attenzione positiva verso Gesù, ma senza convinzioni profonde. Per cui da una parte lo appoggiava, ma di fronte al duro scontro con le autorità giudaiche e romane si sarebbe tirata indietro. Molti lo conoscevano solo per sentito dire o non lo conoscevano affatto. La folla che invocò la crocifissione era formata da persone residenti a Gerusalemme: dopo la cacciata dei venditori dal tempio vedevano in lui un pericolo per la città. Erano preoccupati, infatti, di garantire la prima forma di sostentamento economico della città: il tempio. Queste persone dovevano quindi odiarlo veramente. Gesù venne flagellato una prima volta a scopo intimidatorio, per estorcergli una qualche verità o una confessione. Poi subì la flagellazione vera e propria. Venne legato e brutalmente flagellato. Si usava un bastone corto a cui venivano applicate delle cinghie di cuoio con infissi dei frammenti di osso o di metallo, punte o ganci acuminati. Le ferite potevano essere così forti da mostrare le ossa o da far uscire le viscere. Il condannato a volte moriva durante la flagellazione. Capiamo che i soldati infierirono con crudeltà e sadismo su Gesù perché egli non fu in grado di portare la croce lungo il Calvario, neanche per poche centinaia di metri e perché morì in croce dopo solo tre ore. I soldati non erano ebrei, ma persone reclutate tra i popoli confinanti con un profondo odio per gli ebrei. Quindi quando potevano scaricare tutta la loro rabbia lo facevano senza farsi troppi problemi. Per questo motivo Gesù fu oggetto di beffe e di maltrattamenti chiamandolo: "Salve re dei Giudei", sputandogli addosso e percotendolo (mai gli ebrei avrebbero potuto dire tali parole!). Gli misero in testa una corona di sterpi spinosi (servivano per alimentare il fuoco per riscaldarsi durante la notte), spogliandolo e rivestendolo (come presa in giro) con un mantello scarlatto. Poi Gesù fu crocefisso. La crocifissione era la peggiore delle morti tanto è vero che Cicerone la considerò ben peggiore della morte procurata dalle belve del circo o dall'essere dati alle fiamme. I Romani l'appresero dai Persiani insieme all'altra terribile tortura di impalare il condannato. Quando uno schiavo scappava dalla casa del padrone e veniva riacciuffato, veniva confitto con i chiodi ai battenti della porta principale di casa: "Non sei voluto rimanere alle dipendenze del padrone? Morirai inchiodato alla porta di casa dalla quale te ne sei scappato!". Gesù probabilmente portò una croce a "T" (avrebbe potuto portare anche solo il braccio orizzontale): lo deriviamo dal fatto che dovette essere aiutato da Simone di Cirene. Venne crocefisso sollevato da terra lungo la strada perché i tormenti fossero visti fin da lontano. Il rituale prevedeva il maltrattamento del "povero Cristo" lungo tutto il cammino; gli avversari più accaniti venivano a posta per infliggergli sofferenze ed umiliazioni. La crocifissione, l'essere appesi ad un palo, era segno di maledizione divina e con questa morte Gesù veniva riconosciuto come eretico e bestemmiatore. La crocifissione avvenne fuori dalle mura verso la metà della giornata e col proposito di farla finita in breve, così da togliere il cadavere prima del tramonto del sole, perché la festa di Pasqua stava per cominciare. La legge giudaica inoltre imponeva che il condannato venisse comunque sepolto prima della notte. Gesù venne inchiodato (talvolta veniva messa anche una tavoletta per trattenere meglio le membra confitte) non sulle mani (i chiodi non avrebbero sostenuto il peso del corpo se messi sulle mani), ma sul polso. I piedi venivano incrociati o inchiodati separatamente. Gesù spirò dopo tre ore di agonia. Gli venne data una bevanda narcotizzante, ma Gesù la rifiutò. Il crocifisso moriva spogliato, ma per non urtare la sensibilità degli ebrei, gli venivano cinti i fianchi con un panno. La sofferenza di Gesù è stata indicibile: una sete bruciante causata tra l'altro da emorragie; fortissimo mal di testa con attacchi febbrili, sensazioni di angoscia che provocava tremiti e singulti e dolori di ogni tipo compresi i chiodi che lesionavano i nervi. Gravando il peso del corpo sulle braccia il respiro diventava difficoltoso. Così per respirare Gesù era costretto a far leva sui chiodi con dolore tremendo. Quando esausto non riuscì più a risollevarsi morì per asfissia. I chiodi potevano provocare il tetano e il condannato era esposto alle mosche, ai tafani e perfino agli attacchi degli uccelli rapaci e dei roditori. A Gesù fu risparmiata l'umiliazione che consisteva nell'abbandonare il cadavere alle intemperie e alle bestie della notte. Per assicurarsi che fosse morto un ufficiale gli trapassò il petto in direzione del cuore con un colpo di lancia. Vi fa un po' schifo tutto questo? Beh, se avete cuore, non può che essere così! Ritorna la domanda, allora: ma chi gliel'ha fatto fare? Gesù predicò con mezzi semplici (camminava e incontrava le persone nei loro paesi) per soli tre anni, dall'inizio dell'anno 28 al 7 aprile del 30. E i mezzi semplici hanno bisogno di tempi lunghi! Parla a gente quasi tutta analfabeta e con una capacità di comprensione limitata. Si recava a piedi e trovava ostacoli sempre più crescenti. Eppure ebbe un successo enorme: come mai? Il presupposto e l'esperienza di Gesù erano semplici: "Dio è buono, ti ama: tu sei buono, lasciati amare". Tutto qui, nient'altro di più. Sembra quasi banale. Gesù sperimentò su di sé la bontà di Dio (di cui il centro è l'esperienza del battesimo). Gesù andava dai peccatori, quindi da gente che realmente aveva sbagliato, che viveva su "vie" pericolose di lontananza dall'anima e dallo spirito e non diceva loro: "Tu stai sbagliando; tu devi convertirti". Diceva loro: "Tu dentro sei buono". Chi si lasciava toccare dalle sue parole, cambiava vita. Quando le persone sentivano queste parole era come se si ricordassero di un sogno dimenticato che Gesù risvegliava: "Sì hai sbagliato, ma non sei cattivo. Tu sei buono". Per questo le persone (Zaccheo, la peccatrice, Nicodemo) cambiavano vita. Per questo le persone guarivano dai loro mali: "Posso vivere; posso esser diverso; posso vivere da libero; posso essere perdonato; posso ricominciare; non è una sentenza di morte ciò che mi è successo!; posso essere diverso; posso tornare ad aprire il mio cuore". Naturalmente chi credeva di vivere e pensava: "Io ho la Legge di Mosé!; io sono già un bravo cristiano; io non sono perfetto ma non faccio grossi errori; io non sono come certa gentaglia; io sono meglio di loro; io mi sento a posto così; io ho da perderci se cambio; io non sono voglio mettermi in gioco, ecc", vedeva tutto questo come un pericolo tremendo, estremo, da eliminare. Preferirono uccidere Gesù che accettare il suo sistema basato sulla bontà profonda di ogni uomo. Gesù fu messo di fronte ad una scelta forte: o rinunciare a ciò che aveva vissuto da sempre o andare fino in fondo. "Mio Padre è bontà; mi è sempre stato fedele e l'ho visto sempre vicino; la bontà è pure negli uomini e se essi vi credono guariscono dalle malattie, cambiano e tornano a vivere". Gesù rimase fedele al Dio buono che Lui sperimentò per tutta la vita. Fece un atto di fiducia estrema e credette Dio buono e presente quando tutto sembrava dire il contrario. Solo per questa ragione e per questa fede nel cuore affrontò questa terribile morte. Chi gliel'ha fatto fare? Dio! L'amore e la vita che c'era in lui e in ognuno di noi, che lui chiamava Vita, Luce, Regno, Verità. Tu sei buono! Viene una donna. Ha abortito due volte nella sua vita; ha avuto partner in continuazione; si è sposata con un uomo che non ama, solo per avere un figlio da lui. Poi lo ha lasciato. Puoi dire che ha fatto bene? No. Una donna così sembra condannata per sempre. Eppure, da qualche parte, nascosta, sepolta, sotterrata, quella donna ha una luce, ha un pezzo di cielo che non si è contaminato, che è rimasto puro. Dio non muore mai dentro di noi, è sempre vivo anche se tutto lo nasconde o ne dimostra il contrario. Se tu riesci a tirarglielo fuori, se tu riesci a credere nella sua bontà (il suo Dio in lei) e lei si fida, si salva. Questa donna ci ha creduto e adesso vive. L'amore può essere crocefisso, ma non si può mai uccidere. Un uomo ha ricevuto un educazione ferrea, religiosa, basata sulla forza di volontà e sui sensi di colpa. E' diventato razionale, freddo, staccato dal suo cuore e dalla vita che gli scorre dentro. Poi si è ribellato a tutto questo diventando anticlericale e deridendo tutto ciò che è spirituale. Così ha avuto tutta una serie di relazioni fallimentari con le donne; l'unico modo per percepirsi era la sessualità e ha avuto quindi una sessualità disgregata e perversa. Se tu lo guardi dall'esterno non puoi che dire: "Che poco di buono!". Eppure c'è un nucleo di bontà dentro di lui, c'è un nucleo sano; eppure Dio c'è ancora lì. E su questa bontà, su questo Dio sepolto e ritrovato, questo uomo si è ritrovato. Ha trovato una compagna stabile, il suo cuore, la sua fede e una vita sessuale sana e piacevole. L'amore che salva. Gesù era un cercatore di Dio. Quando incontrava una persona non guardava a ciò che aveva fatto, non guardava a ciò che sembrava, ma si diceva: "Qui da qualche parte c'è mio Padre, c'è Dio, c'è il bene. Proverò a tirarlo fuori". Se le persone accettavano questa sfida, cambiavano vita. Questo è l'amore che salvò e che salva: "Tu, al di là di tutto, sei buono; va bene così". Quando guardate qualcuno ditevi sempre: "Qui c'è Dio". E lavorate per far vivere Dio. Se crederete con tutte le vostre forze che lì, anche se non sembra, anche se nessuno lo vede, c'è Dio, quella persona si sentirà amata e sentirà il vostro amore. Quest'amore, alcune volte, ti cambia la vita. Guardati allo specchio: "Qui c'è Dio. Io sono buono, io valgo". Quando crederai a questo sarai salvo. Guarda tuo padre, tua madre, i tuoi nemici, quelli che ami, quelli che odi, quelli che non sopporti, gli omosessuali, le lesbiche, i tuoi cari, i falsi e i traditori, quelli che ti hanno ferito e umiliato, i tiranni: "Forse si vede o forse non si vede: qui in ogni caso c'è Dio". Se li guardi così cambierai ogni prospettiva. Non sarai più lo stesso di prima! Non li giustificherai ma saprai cosa vuol dire amare e scorgere la Luce nel buio. Forse molte di queste persone non riusciranno a vedersi così, ma tu vedile per quello che sono realmente. E lavora per disseppellire il cielo che c'è in ogni uomo. Non sempre sarà possibile ma quando ci riuscirai avrai salvato una vita dalla morte. Gesù condannò le azioni ma mai le persone. A quell'uomo accusato di assassinio sulla croce che gli diceva: "Ricordati di me quando sarai in Paradiso", non gli disse: "Hai fatto male a fare ciò che hai fatto", ma: "Lo so che tu sei buono. Oggi sarai con me in Paradiso, stai tranquillo". Condanno l'azione ma mai la persona! Gesù è morto e ha preferito la morte piuttosto che rinunciare alla convinzione che "Dio è buono; che Dio mi ama; che non c'è assolutamente nulla da temere; che di Lui ci si può totalmente fidare". Gesù ha detto: "Io so che è così. Tutto sembra dire il contrario ma io so che Lui è così. Io mi gioco tutto: o fallisco o è veramente come dico io". E dapprima sembrò realmente fallire; ma Dio lo confermò in ciò che credeva con la sua resurrezione: era come diceva Lui. Pensiero della Settimana Fede: trovare il Tesoro della propria vita e non lasciarlo per nessun motivo. Puntare tutto su di lui. Credere in lui e non temere quando tutto sembra dire il contrario. Illusione: sbagliare tesoro. Superficialità: dire che il tesoro non c'è. Paura: dire che è troppo difficile. Menzogna: dirsi bugie e scambiare per tesoro un non tesoro. Sofferenza: non trovare il tesoro. Morte: perderlo. Resurrezione: trovare il tesoro della propria vita. |