Omelia (04-04-2010) |
padre Paul Devreux |
La fede nella risurrezione inizialmente è solo una voce che circola per le strade di Gerusalemme, poco più di una chiacchiera, qualche cosa di cui si comincia a parlare ma di cui nessuno è sicuro, nessuno lo può dimostrare. Si dice che la tomba è stata ritrovata vuota, qualcuno dice che sono i discepoli che l'hanno trafugato di notte, qualcun altra dice che è stato visto ma lo dicono più che altro donne. Così nascono duemila anni di cristianesimo. Non c'è nessuna apparizione trionfale. Gesù, che era entrato in Gerusalemme con grande clamore, osannato, ora ritorna alla chetichella, discretamente, lasciando a tutti il beneficio del dubbio. Vuole essere e rimanere solo una voce che ognuno è libero di ascoltare o rifiutare; una voce che dice: "Esci dalla tua terra e ascolta questa voce". "E' risorto, come aveva detto!" Se ne parla, ma non è sicuro, assomiglia più ad una scommessa che ad una certezza; questa è la fragilità della nostra fede, fonte di vertigini. Ciò che dice è talmente bello, che si fa fatica a crederlo. Si dice che Gesù è vivo perché il Padre ha rifiutato di lasciarlo morto, che si è arrabbiato con la morte; così si dice ed è un discorso nuovo, non si era mai detta una cosa simile di nessuno prima. Qualcuno ci ha creduto perché in fondo ci sperava, perché già nell'Antico Testamento si diceva che l'amore non può morire, che è più forte della morte; e questo lo speriamo tutti, perché l'idea che l'amore possa morire è l'idea più triste che ci sia. Dio è amore; se Gesù era il figlio di Dio, non poteva morire in eterno. Ma è necessario che l'annuncio della risurrezione rimanga una voce che non dobbiamo difendere; dobbiamo solo riceverla, meravigliati, come ha fatto Gesù, la mattina di Pasqua. Ma Gesù era sicuro che il Padre l'avrebbe risuscitato veramente? Sapeva che il Padre camminava con lui, tenendolo per mano e questa è la mia speranza oggi. |