Omelia (02-04-2010)
don Maurizio Prandi
La violenza e la speranza

Quell'amore che domenica dopo domenica abbiamo visto crescere in queste domeniche di Quaresima e che abbiamo visto ieri inginocchiarsi di fronte all'umanità, oggi lo contempliamo nel suo apice, nel suo punto più alto... alto perché crocifisso, alto perché ad un amico non si può chiedere di più del dono della sua vita... contempliamo Gesù oggi come questa vita che liberamente si dona. Quello che nessuno di noi avrebbe mai il coraggio di chiedere, (il dono della vita appunto), Dio lo offre. La vita, il dono più grande che abbiamo ricevuto, la vita, con la sua sacralità che non è possibile mettere in discussione, oggi Gesù ci dice che può essere liberamente donata... per amore, solo per amore. In questa vicenda che oggi abbiamo ascoltato nelle nostre chiese, dove la parola violenza sembra farla da padrone, possiamo ancora una volta scorgere segni di luce e di speranza.
Violenza: quella come scrive la comunità di Bose, fisica e morale subita dal servo del Signore nella prima lettura e quella patita da Gesù... la violenza razzista dei giudei che non entrano nel pretorio per non contaminarsi e lì lasciano Gesù considerandolo impuro... la violenza del ricatto a Pilato da parte dei giudei ("se liberi costui non sei amico di Cesare...").
Speranza: in questa storia di violenza alcune luci brillano... ad esempio quella della piccola comunità (alcune donne e il discepolo prediletto) radunata ai piedi della croce di Gesù, persone che parlano il linguaggio della tenerezza e dell'amore, piccola comunità che insegna a vivere la prossimità con il morente (E. Bianchi).
Il vangelo ci dice che in questa piccola comunità Maria è chiamata a partorire un'altra volta, a dare alla luce un altro figlio: Donna, ecco il tuo figlio... un altro parto, anche questo doloroso, di un dolore diverso, non fisico... uno strappo, una lacerazione nel cuore e in quelle viscere che hanno saputo accogliere il Figlio di Dio. In questo strappo, per noi, una luce che ci dice che dalla Croce, dalle Croci nasce qualcosa; come a Maria e a Giovanni credo che a tanti vengano dette quelle parole: Ecco il tuo Figlio, ecco la tua madre... Un esempio, forse banale, ma non per me: penso alla Nitta, una signora di Piandifieno, che nei giorni prima della mia partenza per la missione di Cuba, già consumata dalla malattia mi ha augurato, con parole semplici ma bellissime ogni bene ed ogni benedizione; oltre ad essere semplici confesso che erano anche parole inaspettate, pronunciate da un letto di dolore e quindi scesa da una croce. Ma penso anche alle parole di don Michele Do, negli ultimi giorni della sua vita, parole che consegnavano la sintesi luminosa di una vita in ascolto della Parola di Dio e che dalla croce della malattia e spessissimo della incomprensione sapevano suscitare il desiderio dell'incontro con Dio. Prima del dono dello Spirito, Gesù ci fa un altro regalo bellissimo, che si chiama maternità e figliolanza... che bello, bellezza e consolazione possono nascere da una croce, da un dolore, da una morte e se come chiesa non sappiamo essere madre (accoglienza, tenerezza, custodia, capacità di provare il dolore, coinvolgimento), e come cristiani non sappiamo essere figli (ovvero accogliere e obbedire la parola pronunciata dal Figlio Crocifisso), ecco che la Croce rimane un simbolo esterno, qualcosa da brandire in nome di una presunta appartenenza, una scusa per chiedere garanzie e privilegi. Il vangelo di Giovanni è un vangelo particolare, responsabilizzante. Chiama sempre in causa dei testimoni, cita le persone per quello che sono, dei testimoni del mistero di Gesù. Ci sono cinque testimoni della Croce a loro viene affidata la Croce di Gesù; la cosa bella è che anche noi, per aver letto, ascoltato, diventiamo testimoni. Quindi come chiesa, abbiamo una vocazione ben precisa: stare presso la Croce, essere testimoni della Croce, ricevere la Croce... provo a spiegarmi: c'è, (ricordo un ascolto di don Daniele Simonazzi nella Basilica dei Fieschi a S. Salvatore), un invito molto preciso che Gesù in Maria fa alla sua chiesa... ecco il tuo figlio: ovvero lui, il discepolo, è me! Che bella immagine di chiesa: una chiesa che riceve in eredità non fortune in appartamenti, alberghi, ville... riceve la fortuna, ovvero ogni crocifisso, ogni sofferente, ogni dolorante, per imparare dai crocifissi l'unicità della relazione che c'è tra Gesù e il Padre, perché loro sono Gesù. Pensavo alla difficoltà che ho ad accogliere la Parola della Croce... stamattina mi ha aiutato Martica, una signora anziana e con un marito che ormai non c'è più con la testa, che in questo Venerdì Santo è venuta a confessarsi. Una di quelle persone che mai ha lasciato la frequentazione della chiesa, anche in periodi nei quali, qui a Cuba, chi entrava in chiesa veniva schedato e privato di tante cose. Mi ha detto che in casa sua piove... perché il tetto è rotto e aveva appuntamento alle nove con chi, in comune, si occupa dei servizi sociali. Speriamo ci siano ancora - mi ha detto - però, il Venerdì Santo mi sembrava giusto mettere Dio al primo posto, pregare di fronte al Monumento (che per noi è l'altare della reposizione, il sepolcro...) e poi andare a vedere se hanno un tetto per me... non se riesco a trasmettere quello che ho provato, ma per me questa donna non solo ha saputo accogliere la Parola della Croce, a quella parola si è anche affidata.