Omelia (11-04-2010) |
mons. Roberto Brunelli |
Ricordando Padre Tullio Nella seconda domenica di Pasqua, cioè otto giorni dopo aver celebrato la risurrezione del Signore, si legge ogni anno questo brano di vangelo, in cui si narra quanto accadde proprio otto giorni dopo che il Risorto si era presentato agli apostoli. Mancava allora Tommaso, il quale non aveva voluto credere alla testimonianza degli altri: "Se non vedo, se non tocco, io non credo", aveva detto. E Gesù venne di nuovo, si fece vedere e toccare dall'apostolo incredulo, dicendo parole che riguardano tutti i suoi seguaci dei secoli a venire: "Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!" Ma il brano odierno è fondamentale anche per altro. Nella sua prima manifestazione, agli apostoli Gesù disse: "Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi. Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati". Sta qui, in queste parole, il senso della Chiesa: mandata nel mondo quale strumento di Dio, disposto, anzi desideroso, di risanare spiritualmente chi si rivolge a lui. L'evangelista Giovanni, qualche riga dopo, dichiara di avere scritto il vangelo "perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome". La fede è dunque la condizione per ottenere il perdono dei peccati e così conseguire la vita: già in questo mondo, una vita consona con la dignità dell'uomo, e nell'altro, la vita senza fine. L'uomo non può vantare alcun diritto ad ottenere il perdono e la vita: se l'ottiene è solo per la misericordia di Dio. Per rimarcarlo, il papa Giovanni Paolo II ha voluto che la domenica seguente la Pasqua - vale a dire, per l'anno in corso, oggi - sia la domenica "della divina misericordia", invitando così tutti a riflettere su questo incommensurabile dono, ed esprimere al Donatore il proprio umile ringraziamento. Un ringraziamento va anche ai tanti uomini e donne che in questo mondo hanno offerto a tutti l'esempio di una fede autentica, in particolare quella suprema e indubitabile manifestata con il martirio. Numerosi martiri sono già iscritti nell'elenco dei santi; tanti altri, tanti di più, non lo sono ancora, e forse non lo saranno mai perché il loro sacrificio è conosciuto solo da Dio. Chi ritenesse che i martiri sono soltanto le vittime delle persecuzioni dei primi secoli, sarebbe in errore; non c'è stato secolo della storia cristiana che non abbia espresso ripetutamente questo luminoso segno della fede. Solo nel secolo scorso, l'orgoglioso Novecento che vanta grandi progressi in tanti campi, di martiri se ne contano sedicimila, per limitarsi a quelli del cui sacrificio si conoscono nome, data, luogo e circostanze. Di uno di loro ricorre oggi il 25° anniversario: è il mantovano Padre Tullio Favali, già alunno del seminario Diocesano e poi missionario del PIME (Pontificio Istituto Missioni Estere), ucciso nelle Filippine l'11 aprile 1985; ucciso barbaramente mentre soccorreva altri cristiani feriti a colpi di mitra proprio perché cristiani. Ricordando Padre Tullio ai lettori di queste note, chi le scrive non nasconde la propria commozione, anche perché ha avuto il privilegio di conoscerlo, con la sua umiltà, la sua dedizione senza riserve. Ricordando Padre Tullio, chi scrive chiede al Signore della vita di saper imitare sino in fondo la sua fedeltà, e lo chiede anche per i giovani che sul suo esempio hanno deciso di seguirlo sulla via del sacerdozio: solo nella sua parrocchia sono già ben quindici. E' un frutto (solo uno; chi può conoscere gli altri?) che dà ragione a Tertulliano, uno scrittore dei primi secoli, il quale costatava che "il sangue dei martiri è il seme di nuovi cristiani". |