Omelia (28-03-2010)
don Daniele Muraro
Culto a Dio e vita donata

In san Luca il racconto della Passione è solo l'ultimo atto di un cammino di avvicinamento a Gerusalemme compiuto da Gesù e di cui l'evangelista parla fin dal capitolo nono: "Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, egli (Gesù) prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé."
Gesù era cosciente che per Lui entrare nella Città Santa quell'anno avrebbe significato andare incontro all'ostilità dei capi e al destino di una morte certa.
Nel Vangelo secondo Giovanni troviamo echi di questa consapevolezza condivisa dal gruppo degli Discepoli: "Era vicina la Pasqua dei Giudei e molti dalla regione salirono a Gerusalemme prima della Pasqua per purificarsi. Essi cercavano Gesù e, stando nel tempio, dicevano tra loro: 'Che ve ne pare? Non verrà alla festa?' (Intanto i capi dei sacerdoti e i farisei avevano dato ordine che chiunque sapesse dove si trovava lo denunciasse, perché potessero arrestarlo.)"
In precedenza Gesù stesso aveva dichiarato che non era possibile che un profeta morisse fuori di Gerusalemme. Per questo nonostante gli avvertimenti di pericolo Egli aveva comunque proseguito nel suo cammino.
Avendo in mente questo comprendiamo meglio le parole iniziali del racconto di stamattina rivolte agli Apostoli: "Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione...".
Gesù va a Gerusalemme anzitutto per celebrare la Pasqua, mantenendo fede al patto di Alleanza fra Dio e il suo popolo che con essa ogni anno si celebrava e si rinnovava. Come sentiamo continuamente ripetere nella Bibbia, Gerusalemme era la città che Dio aveva scelto per stabilirvi la sua dimora e per manifestare la sua salvezza. È a Gerusalemme che Dio Lo attende per la sua ora, coincidente con la grande festa della Pasqua ebraica.
Al gesto tradizionale però Gesù annette un nuovo valore: Egli non si limita a cantare i salmi o a dividere l'Agnello ricordando l'uscita dei Padri dall'Egitto, ma aggiungendo le parole sul pane e sul calice fa diventare la cena tradizionale un anticipo della sua passione cruenta.
In questo anno sacerdotale ci può essere utile riflettere sul legame che Gesù stabilisce tra il rito e la vita. Egli non esita a mettere a repentaglio la propria vita per dare a Dio il culto dovuto; contemporaneamente però fa diventare la Cena Pasquale una promessa di donazione esistenziale: "Vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non verrà il regno di Dio".
Per questo regno di Dio di lì a poche ore Egli avrebbe offerto senza riserve la sua vita, subendo una ingiusta condanna e salendo sulla croce come un malfattore.
Anche nella lavanda dei piedi Gesù fa capire la necessità di unire la devozione verso Dio con la pratica del servizio verso il prossimo.
Ambedue queste dimensioni sono necessarie a chi vuole dirsi cristiano, cioè autentico seguace di Gesù Cristo: acclamarlo Signore come abbiamo fatto entrando in chiesa e imitarlo usciti di chiesa per quel che riguarda l'attenzione e amore del prossimo.