Omelia (19-03-2010)
don Daniele Muraro
La religiosità di San Giuseppe

Una più intensa devozione a san Giuseppe in questo periodo di crisi non sarebbe inopportuna. Infatti questo santo viene spesso invocato nelle difficoltà materiali e soprattutto da chi cerca lavoro.
Ma non è su questo punto che mi voglio soffermare stasera. La Chiesa dedica a San Giuseppe Lavoratore una festa tutta sua che, come si sa, cade il Primo Maggio.
Nell'anno sacerdotale guardiamo a san Giuseppe come a uomo religioso. La virtù di religione è la pratica della giustizia verso Dio; tramite il culto si rende a Dio l'onore che gli è dovuto.
Giuseppe non era sacerdote, diversamente Zaccaria, il padre di Giovanni Battista. Egli era un artigiano, specializzato, che viveva del proprio lavoro manuale. Quando frequentava il tempio Giuseppe lo faceva in qualità di fedele e non di officiante.
Tuttavia sicuramente era un praticante, come vediamo nell'episodio di Gesù smarrito nel Tempio: "I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua" dice san Luca.
Nel Vangelo di san Matteo ora ascoltato è a lui come a capofamiglia che spetta di attribuire il nome al bambino neonato: "Maria darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù!"
Insieme con la paternità giuridica e quindi sociale Giuseppe si assume anche il compito educativo nei confronti del fanciullo Gesù che a Nazaret "stava sottomesso" ai suoi genitori ben oltre il compimento dei dodici anni.
"Giuseppe addestra all'umile arte del falegname il Figlio di Dio Altissimo" recita l'inno nella solennità della Santa Famiglia. Insieme con l'esempio di un lavoro coscienzioso, indefesso e onesto Giuseppe ha indubbiamente dato a Gesù da anche la dimostrazione di una vita religiosa, fatta di salmi e altre preghiere recitate quotidianamente, di frequentazione abituale della sinagoga il sabato dove si ascoltavano le Scritture sacre e la relativa spiegazione.
Gesù avrà visto in lui davvero "un Israelita in cui non c'è falsità" e che cerca con tutto se stesso di compiere la volontà di Dio.
Giuseppe aveva un segreto in comune con Maria e con Gesù: la natura divina di quel bambino destinato a salvare il suo popolo dai suoi peccati. Egli era stato scelto da Dio per essere sostentare, custodire e far garante dell'umanità del Figlio di Dio. Perciò cercava di essere il meno indegno possibile della sua missione.
In questo senso la sua figura ha qualcosa di sacerdotale. Anzitutto perché il padre di famiglia nella cultura ebraica svolge effettivamente delle mansioni sacerdotali come la benedizione quotidiana sui pasti e la presidenza del rito della Pasqua celebrato in famiglia. Tradizionalmente è il bimbo più piccolo della casa che con una semplice domanda chiede all'anziano di raccontare che cosa successe allora, a cominciare dalle piaghe d'Egitto fino al passaggio del mare.
Giuseppe viveva interiormente il culto, lo gustava e faceva partecipe dei suoi affetti Maria e Gesù. Sotto la sua guida Maria e Gesù per così dire si sentivano più perfettamente innestati nella fede dei padri fondatori: Abramo, Mosè, Davide e i loro discendenti di generazione in generazione.
E infatti nel suo cantico di lode dopo l'Annunciazione Maria aveva riconosciuto che la misericordia di Dio si era manifestata a lei in sintonia con la promessa fatta "ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza ".
Giuseppe partecipa più da vicino della funzione sacerdotale in quanto amministratore della casa di Dio e familiare del suo Figlio fatto uomo. Quel Gesù che oggi il sacerdote tocca nella consacrazione e distribuendo l'Eucaristia, è lo stesso che Giuseppe prendeva per mano. Forse da piccolo l'aveva anche imboccato, quando c'era di bisogno di vedere lontano lo alzava e qualche sera gli si era addormentato sulla spalla.
Dunque il Gesù che viene a noi non è solo quello che ha assaporato la fede di Maria piena di dedizione materna, ma anche la giustizia di Giuseppe e con la sua fortezza nelle prove.
Forse il primo abbozzo dell'annuncio delle Beatitudini a Gesù sarà venuto in mente considerando le virtù del suo padre putativo, povero in spirito, per tanti versi afflitto ma sempre sereno, mite, misericordioso e puro di cuore, pronto a mettere pace dove poteva.
La psicologia ci dice che l'immagine di Dio nella prima infanzia non può prescindere dalla propria esperienza diretta di paternità in famiglia. Ogni genitore e in particolare i papà dovrebbero sapere di essere responsabili di fronte a Dio non solo che i propri bambini crescano sani, ben allevati e curati, ma anche dello sviluppo morale e spirituale della loro coscienza.
Guardando a papà e mamma ogni bambino dovrebbe trovare un riflesso della bontà e dell'amore di Dio per l'uomo sua creatura. Un genitore onesto e coscienzioso ben presto indirizzerà verso l'alto la naturale e illimitata confidenza di un figlio nei suoi confronti.
C'è una fase della crescita in cui il bambino ritiene i genitori, e in particolare il papà, onnipontente. Sappiamo bene che non è così; ma questo sentimento infantile ha un fondamento nella realtà! Esiste davvero un Dio Padre buono e onnipotente e a Lui occorre indirizzare pensieri e affetti di un fanciullo che si apre alla vita.
Un genitore non ci perde nulla ad ammettere e spiegare al suo figlio i propri limiti se prima si ha messo il suo ruolo direttivo sotto il patrocinio della massima paternità, quella di Dio, dalla quale proviene ogni autorità e paternità umana.
San Giuseppe anche in questo può essere di esempio e di aiuto alle nostre famiglie, lui umanamente per niente padre, ma religiosamente assurto ad una paternità di cui Dio stesso si è giovato.