Omelia (25-03-2010) |
don Daniele Muraro |
La nostra conversazione è nei cieli "La nostra conversazione è nei cieli" dice san Paolo scrivendo ai cristiani di Filippi. La frase ci può servire come filo conduttore per meditare la solennità dell'Annunciazione in questo anno sacerdotale. Nella sua casa di Nazaret Maria si trova ad essere ammessa alla conversazione con l'angelo Gabriele e per suo tramite con Dio. In seguito avrebbe potuto rivolgersi direttamente a Gesù. Di questo bambino, Figlio suo e Dio fatto uomo, avrebbe seguito le fasi dello sviluppo, dalle prime parole balbettate, agli insegnamenti più maturi e profondi. Anche per noi, quando preghiamo e in particolare quando recitiamo l'Ave Maria, vale la stessa cosa: siamo elevati alla conversazione con Dio. Ripetendo le parole del Vangelo e nella seconda parte quelle della Chiesa, facciamo nostro il saluto dell'Angelo, quello di Elisabetta e le invocazioni della comunità dei credenti,. Esaminiamo più dettagliatamente la frase di san Paolo. Filippi città situata al nord della Grecia nel 31 avanti Cristo divenne colonia militare romana, con diritto di cittadinanza. I Filippesi andavano fieri di potersi dichiarare Romani a tutti gli effetti. San Paolo in una lettera piena di affetto esorta questi nuovi cristiani a comportarsi da cittadini degni del Regno dei cieli. La nuova traduzione della Bibbia al punto dice non la nostra conversazione, ma "la nostra cittadinanza infatti è nei cieli...". Letteralmente la parola vuol dire "una comunità", astrattamente si può intendere anche l'appartenenza a questa comunità, ossia "la cittadinanza", ma figurativamente si può interpretare come "la conversazione", nel senso latino di una frequentazione abituale che crea intesa attraverso il dialogo. Non è un caso che nel Magistero della Chiesa si parli di "santuario della coscienza". Lì avviene una conversazione interiore alla sola presenza di Dio inviolabile da chiunque altro orecchio esterno. La nostra conoscenza non è immediata puntuale, ma discorsiva colloquiale, sia che si svolga un colloquio fra conoscenti, sia che avvenga un dialogo attraverso un processo tutto interiore. Sempre si dà uno scambio di battute e quando siamo soli a parlare per così dire ci sdoppiamo facendo la parte di chi parla e di chi dopo avere ascoltato risponde. Dio non solo conosce il versante pubblico del nostro conversare, non Gli è ignoto nemmeno il nostro dialogo nascosto. Anzi, è lì che tante volte noi lo cerchiamo, aprendo davanti a Lui e Lui solo in via confidenziale il nostro animo, le nostre aspirazioni o debolezze, i nostri slanci o lamenti. Tutto quello che riguarda la nostra vita è presente davanti a Dio, ma non è lo stesso per noi che ne prendiamo coscienza o no, come non è la stessa cosa che Lo invitiamo per così dire ad assistere ai nostri colloqui interiori domandandogli il suo parere divino oppure no. Attraverso il consenso di Maria, Dio diventa cittadino di questo mondo e per la sua opera di salvezza noi saremo introdotti a far del suo Regno. Nella prima lettura Dio dimostra di gradire la conversazione con gli uomini, anzi la richiede. "Il Signore parlò ad Acaz, cioè al Re e gli disse: 'Chiedi per te un segno dal Signore, tuo Dio'". Il rifiuto da parte del sovrano non fu indice di discrezione né di timor di Dio, ma di disinteresse e di disprezzo. Notiamo che la sottovalutazione nei confronti della potenza del Signore va di pari passo con la noncuranza per gli interessi del popolo: Allora Isaìa disse: "Ascoltate, casa di Davide! Non vi basta stancare gli uomini, perché ora vogliate stancare anche il mio Dio?" La nascita di un figlio per Acaz e in seguito la nascita del Messia avrebbe avuto anche ricadute sociali da non trascurare. Ben diversa invece è la disposizione d'animo con cui Maria accoglie l'annuncio dell'angelo. La sua risposta intesa a comprende "come avverrà questo" non è una contestazione della potenza di Dio, ma una richiesta di maggiori chiarimenti in vista di una più pronta obbedienza. Lasciandosi coinvolgere ad un titolo elevatissimo nella storia della salvezza, Maria si lega ancora più profondamente alle vicende del suo popolo, indicate sul momento nella persona di Elisabetta, ed in seguito allargate fino ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre. Anche nella seconda lettura l'autore della lettera agli Ebrei ci presenta un dialogo e stranamente per noi si tratta delle prime parole tra il Cristo, appena entrato nel mondo e il Padre. "Entrando nel mondo, Cristo dice: 'Ecco, io vengo per fare, o Dio, la tua volontà'." Sono le prime parole del Verbo incarnato, destinato poi ad entrare nel normale silenzio dei primi mesi della vita infantile in attesa di far sentire a tutti la sua voce di Salvatore potente, ma anche di ascoltare con attenzione e comprensione le richieste dei suoi fratelli nella condizione umana. L'autore della lettera agli Ebrei ci tiene a sottolineare che l'ingresso nel mondo del Cristo ha un effetto sociale: quasi automaticamente con la sua presenza Egli abolisce il sacrificio fatto di sangue di tori e capri per costituirne uno nuovo, legato alla sua persona. Gli orecchi aperti del Messia di cui parla il salmo sono rivolti ad obbedire alle richieste del Padre, ma non meno a interpretare le preghiere degli uomini, in maniera tale che attraverso la conversazione di Cristo fra noi, ossia il suo intrattenersi nel mondo, noi possiamo conversare con Lui, ossia intrattenerci con Lui in pensieri parole e opere e così sentirci a pieno titolo cittadini del Regno dei Cieli. |