Omelia (07-05-2000) |
padre Paul Devreux |
Lc 24, 35-48 I discepoli non si aspettavano la venuta di Gesù in mezzo a loro, nonostante la testimonianza delle donne, di Pietro e dei discepoli di Emmaus. Si vede dal loro stupore e spavento. Pensano che è un fantasma, sono turbati e increduli. Non dobbiamo biasimarli, ma piuttosto domandarci come mai noi diciamo di credere così facilmente? Non è facile farselo con un morto. Per i discepoli, Gesù è un morto che si fa vedere. Io ho un rapporto conflittuale con la morte. Ammiro chi rischia, come certi sportivi; ammiro chi lotta contro la morte con la medicina e la chirurgia; ammiro chi sta vicino ai moribondi e chi vive serenamente l'esserlo. Ma quando la morte tocca un amico, so che il rapporto cambia. Anche se sostengo che lo sento vicino, io sono di qua e lui è di là. Siamo separati definitivamente. Trovarmelo in casa, a mangiare il pesce a tavola con me, mi creerebbe qualche problema. I discepoli hanno bisogno di tempo per superare almeno la paura, altrimenti non sono in grado di ascoltare ciò che Gesù ha da dirgli. Gesù glielo dà, mettendosi a mangiare. Quando li sente pronti, Gesù comincia a rispiegare ciò che prima della sua passione i discepoli non volevano sentire: il fatto che doveva patire e risuscitare. Poi li invita ad essere testimoni di questa buona notizia. Il testimone è colui che ha visto, e non ha paura di raccontare ciò che ha visto. Io cosa ho visto, e cosa posso raccontare? Posso dire che Dio esiste, che si prende cura della mia vita e che ascolta le mie preghiere. Buona domenica. |