Omelia (18-04-2010)
don Daniele Muraro
Assunzione di responsabilità

Papa Benedetto ha scelto questo fine settimana per commemorare il millenovecentocinquantesimo anniversario del naufragio dell'Apostolo Paolo sulle coste di Malta. Come troviamo negli Atti degli Apostoli con Paolo prigioniero e diretto a Roma complessivamente erano imbarcati in duecentosettantacinque fra cui Luca stesso che narra i fatti, alcuni soldati con un centurione e alcuni altri prigionieri. Per sue settimane rimasero alla deriva a causa della violenza della tempesta, senza vedere per vari giorni né sole né stelle.
Alla fine l'imbarcazione si incagliò. "Una volta in salvo," continua san Luca che nell'occasione doveva aver preso una bella paura "venimmo a sapere che l'isola si chiamava Malta. Gli abitanti ci trattarono con rara umanità". Paolo e i suoi accompagnatori poterono ripartire solo dopo tre mesi.
Avendo noi dedicato l'anno scorso al duemillesimo anniversario della sua nascita, ciò significa che il fatto del naufragio avvenne nel cinquantunesimo o cinquantaduesimo anno di vita dell'Apostolo.
Cinquecento anni e più dopo, un altro Papa, Gregorio Magno svolgeva queste considerazioni: "Pietro ha camminato a piedi sull'acqua, mentre Paolo in mare ha fatto naufragio. Ecco che nel medesimo elemento Paolo non ha potuto andare per nave dove Pietro è andato a piedi."
E continua: tuttavia Paolo è pari all'apostolo Pietro nell'essere primo tra gli Apostoli. Mentre fu diversa la loro capacità nel fare miracoli, tuttavia non è diverso il loro me­rito in cielo. Infatti anche se Paolo è stato chiamato per ultimo, tuttavia ha faticato più di tutti loro. La vera valutazione del modo di vivere si basa sulla virtù delle opere, non sulla manifestazione di fatti prodigiosi.
Il Vangelo di oggi ci presenta Pietro di nuovo in barca tornato a esercitare il suo vecchio mestiere di pescatore a motivo della fame sua e degli altri che erano con lui.
Ai giorni intensi della prima settimana di Pasqua per i discepoli seguì un tempo di pausa e di meditazione. Tornati in Galilea si guardavano attorno senza sapere che fare: non era chiaro quello di cui avrebbero dovuto occuparsi in seguito e avevano perso le abitudini precedenti.
Senza saperlo Pietro mette in pratica la massima codificata secoli dopo da sant'Ignazio di Loyola: pregare come se tutto dipendesse da Dio, ma, nell'attesa di un segno dall'alto, darsi da fare come se tutto dipendesse da noi.
Pietro manifesta un senso pratico che è proprio di tutti i Missionari. Scriveva nell'Ottocento mons. Guglielmo Massaja: "Qui (in Abissinia) il Vescovo si chiama Guglielmo, Guglielmo il segretario, Guglielmo si chiamano tutti i curialisti, Guglielmo il medico, il maestro di scuola; non basta: Guglielmo è il muratore, il sarto, il falegname, il fabbro ferraio con tutto il resto". Ovviamente era da solo non perché avesse cacciati tutti, ma perché non era riuscito ad associare alla sua opera ancora nessuno. Una volta trovati collaboratori efficienti anche lui si mise a fare solo il Vescovo.
L'intervento di Gesù nel Vangelo risolvendo una situazione penosa mira precisamente a far riprendere ai suoi discepoli la via della missione.
Egli infatti ripete in loro presenza il segno della pesca miracolosa che tre anni prima aveva convinto Pietro ad abbandonare casa, barca e familiari e a seguirlo per le strade della Palestina.
Può esercitare il ministero sacerdotale solo chi è chiamato dal Signore ed è preparato a questo scopo. Come abbiamo visto l'idoneità non si misura dalla capacità di fare miracoli o cose straordinarie, quanto dalla rettitudine della dottrina unita alla testimonianza della vita.
Chi è chiamato non può rifiutare a cuor leggero la missione che il Signore gli affida. Scrive ancora san Gregorio Magno: "Vi sono alcuni che ricevono grandi doni di virtù e spiccano per eccelse qualità: costoro se rifiutano le grandi responsabilità nel ministero anche quando vi sono chiamati, finiscono spesso con trovarsi privi dei doni che hanno ricevuto non solo per sé ma anche per altri."
E ancora: "Con quale animo chi potrebbe brillare nel bene al prossimo può preferire la propria quiete al vantaggio altrui, se l'Unigenito stesso del Sommo Padre venne in mezzo all'umanità per la salvezza universale?"
Questi due ultimi richiami valgono non solo per i chiamati ad una vocazione di speciale consacrazione, ma anche per ciascun cristiano. Chi si disinteressa ai doveri del bene comune rischia di perdere anche i meriti di una vita onesta nel caso che la rettitudine non sia sostenuta dalla solidarietà e coloro che dicono di sottrarsi agli impegni per umiltà hanno davvero questa virtù quando non oppongono resistenza alle esigenze della carità fraterna e alla volontà di Dio che li sprona.
Per tutti esiste un posto di responsabilità nella Chiesa o almeno nessuno deve sentirsi escluso da portare il suo contributo alla vita comune.
La rete piena di centociquantatré grossi pesci del Vangelo di oggi possiamo intenderla come immagine alla Chiesa. Essa non si lacera al suo interno nonostante l'apporto di tanti caratteri diversi, anzi è fatta apposta per raccoglierli nell'unità, chiaramente finché si rimane dentro i confini dettati dal Vangelo e nello spirito di servizio che esso insegna.