Omelia (13-07-2003) |
don Elio Dotto |
Perdere la pazienza Perdere la pazienza può essere una virtù? A noi sembra impossibile, abituati come siamo a pensare la pazienza come una delle qualità più necessarie all'animo umano. Avere pazienza ci pare in ultimo l'atteggiamento migliore davanti alle avversità della vita. Eppure il Vangelo di domenica (Mc 6,7-13) afferma che anche perdere la pazienza può diventare una virtù. Così infatti sembra dire Gesù mandando i suoi discepoli in missione: «Se in qualche luogo non vi riceveranno e non vi ascolteranno andatevene, e scuotete la polvere di sotto ai vostri piedi, a testimonianza per loro». Noi forse ci saremmo aspettati parole diverse: magari parole di comprensione nei confronti di quegli uditori poco accoglienti. Soprattutto noi avremmo voluto sentire la parola tolleranza, questa parola magica che oggi sembra risolvere ogni dissidio. Sì, forse un po' più di tolleranza non sarebbe guastata nelle raccomandazioni di Gesù. E invece no, il comando del Maestro è diverso: «Se non vi ascolteranno, andatevene e scuotete la polvere di sotto ai vostri piedi». «Andatevene»: perché il missionario non può appoggiare la sua vita ad un mondo che ha deciso fin dal principio di far tacere la sua parola. Il missionario – come il profeta dell'antico Israele – deve parlare comunque: e quindi deve anche perdere la pazienza, davanti all'indifferenza o al rifiuto degli uditori. Certo la tolleranza è anche un valore: e Gesù non mancò di testimoniarla nella sua vita. Eppure non sempre è il tempo della tolleranza: ci sono infatti momenti in cui appaiono necessarie parole intransigenti. Come accadde quel giorno, durante il viaggio verso Gerusalemme, quando uno dei discepoli chiese a Gesù di andare a seppellire suo padre: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti – disse il Maestro con durezza – tu va', e annunzia il Regno di Dio» (Lc 9,60). O come accadde quando Gesù arrivò nel tempio della Città Santa, e rovesciò con violenza i tavoli dei venditori: «Avete trasformato questa casa in una spelonca di ladri!» (cfr Lc 19,46). Appunto, non sempre è il tempo della tolleranza: a volte ci vogliono parole intransigenti; ci vogliono cioè parole sincere, che sappiano rompere il cerchio insopportabile dell'indifferenza e dell'ipocrisia, testimoniando quella verità che non può essere nascosta. Infatti, dietro alla tanto predicata tolleranza dei tempi moderni si nascondono facilmente proprio l'indifferenza e l'ipocrisia: da una parte l'indifferenza di chi non vuole mai compromettersi, difendendo sino alla fine il proprio piccolo mondo; ma dall'altra anche l'ipocrisia di chi vuole starsene comodo, e allora tollera gli altri affinché gli altri tollerino lui. Purtroppo questo accade anche nelle nostre famiglie. Oggi sono meno frequenti i conflitti accesi tra genitori e figli: c'è più tolleranza, e dunque ci sono meno scontri. Eppure dietro a questa tolleranza si insinua facilmente la rinuncia ad ogni cammino educativo: ad ogni cammino cioè che sappia condurre insieme genitori e figli verso traguardi più grandi. Certo, è più facile accontentarsi di piccoli compromessi, mettendo da parte rimproveri e tensioni: ma questa strada non sembra condurre molto lontano... Quindi, a volte nella vita ci vogliono davvero parole intransigenti: «Se non vi ascolteranno, andatevene...», diceva Gesù. In questi casi, perdere la pazienza è una virtù. Naturalmente non è facile sapere quando davvero è il caso; non è facile cioè saper distinguere i tempi della pazienza dai tempi dell'intransigenza: non ci sono regole automatiche. Eppure ogni domenica nell'Eucaristia ci è donato lo Spirito di Gesù: e ci è donato appunto perché sappiamo riconoscere i tempi diversi della nostra vita, imparando ogni giorno che cosa è bene dire e che cosa è bene tacere. |