Omelia (13-07-2003)
mons. Antonio Riboldi
Annunciare il Vangelo della speranza

Ma Gesù trova ancora posto, anzi il primo posto nella scala dei nostri valori che determinano poi in ciascuno ciò che più conta e quindi ciò che valiamo? Credo che tutti i miei lettori abbiano seguito la discussione politica che si è fatta in questi ultimi tempi circa l'opportunità o meno di affermare nella nuova costituzione per la nascente Europa le sue radici cristiane. Arte, musica, costumi, storia della nostra Europa sono come il racconto vero della sua storia. Togliessimo i grandi santi, che hanno dato all'Europa un indirizzo di civiltà fondato proprio sul Vangelo, da S. Francesco d'Assisi, a S. Benedetto, a Santa Caterina da Siena e a tantissimi altri che sono come la traccia divina che sottolinea una storia scritta con il dito di Dio: se ignorassimo la presenza di cattedrali, di arte che prendono sempre la loro ispirazione dalla fede; se dovessimo ignorare come la nostra identità umana è intrisa fin dalla nascita dallo Spirito di Cristo, davvero avremmo una Europa senza memoria. E non ci può mai essere un futuro che sia progresso nella civiltà, se non ha ben presente la sua memoria, le sue radici.
L'indifferenza della pubblica opinione, di fronte a questo affronto alla nostra civiltà cristiana, che ci offende gravemente, è frutto proprio di una fede che lentamente ha come cancellato Dio dalla propria vita per dare spazio ad altro, che non potrà mai e poi mai prendere il posto di chi ci è Padre ed è il vero grande bene che possiamo possedere.
Ogni volta incontro fratelli o sorelle che hanno un sorriso di compassione nel vedere qualcuno che veramente ha messo Gesù al primo posto, mitizzando creature che sono foglie morte per una vera speranza, mi viene quasi da piangere. Amavo mia mamma e mio papà come i punti di riferimento sicuri su cui modellare la mia vita. Anche solo sfiorare con compatimento il ricordo, mi ferisce profondamente. E se è così per mamma e papà e gli amici, è facilmente comprensibile il dolore che si prova quando la stessa sorte tocca al bene dei beni, Dio. Due testimonianze. Ma come "pastore" tra gli uomini potrei scrivere un memoriale voluminoso al riguardo.
Mi imbattei in una giovane donna al limite dell'odio alla vita: "A che serve vivere? Ma per cosa si vive? A chi interessa la mia vita? Odio questa vita e non sopporto che qualcuno me l'abbia data senza chiedermi se l'avrei accettata o no. Vorrei, se fosse possibile "scendere una volta per sempre da questa vita insulsa; per cui non trovo una ragione plausibile. Ma ho paura e non si può vivere di paura. Ma perché vivo? A chi interessa la mia vita?" Non dimenticherò mai quella disperazione. "Lei ama la sua vita? Mi chiese" "Immensamente". "Per quale ragione?" "Non per quale ragione, ma perché so di essere amato immensamente da Dio. E quando sai che c'è chi ha tanto interesse per la tua vita, tanto amore fino a dare la vita per amore..la vita non può essere che gioia. E questa gioia è Cristo". E iniziò un lungo dialogo che alla fine riuscì a riportare l'amore alla vita e farla sorridere di speranza.
Un giorno, durane una breve passeggiata, mi imbattei in un uomo, vestito modestamente, ma di grande dignità, con un sorriso negli occhi che quasi trasfigurava il suo volto che era già bello. "Perché tanta gioia?" gli chiesi. "Ci fu un tempo in cui, come tanti, credetti di avere realizzato la vita dandomi agli affari. Ero un uomo fortunato, ricco, invidiato da tutti, conteso dalle donne. Annegavo in un grande bisogno di felicità "dentro" che soldi, importanza, donne non davano assolutamente. Conobbi l'amore alla ricchezza ma per averla dovevo ignorare legalità, prossimo, e leggi morali. Quel campo che tutti invidiano non è certamente il paradiso del cuore; è un campo di battaglia senza scrupoli. La donna era solo un oggetto di piacere, non una creatura da amare. Dentro, quando ero solo, sentivo lo schifo di me stesso e mi assaliva la voglia di prendere a calci tutto, per avere non so neppure io che cosa. Finché un giorno, con la voglia di farla finita, mi fermai in una capanna e vidi in un angolo un Crocifisso, buttato là, come cosa da niente. Non so come, mi prese la voglia di ricomporlo e più lo ricomponevo e più sembrava che quel Cristo entrasse nelle mia ossa, nella mia carne, come fosse vivo e mi attendesse. E non lo feci attendere. In quel crocifisso ho visto la bellezza e la verità della vita. Il passato è alle mie spalle. Ora conta Lui ed è la mia felicità. Chi mi aveva conosciuto sotto le vesti del pagliaccio di corte, ricco, bello di grande futuro, quando mi incontra oggi e mi vede così diverso, si chiede il perché della mia pazzia. E provo grande pena nel vedere che i pazzi sono questi fratelli che hanno tutto, ma non hanno chi veramente li ami, Cristo". Facile trovare una pericolosa indifferenza nella fede, dove Cristo, il suo amore ha poco spazio.
Ovunque - afferma il S. Padre nella enciclica - "Ecclesia in Europa" - c'è bisogno di un rinnovato annuncio anche per chi è battezzato. Tanti europei contemporanei pensano di sapere che cosa è il Cristianesimo, ma, non lo conoscono realmente Spesso addirittura gli elementi e le stesse nozioni; fondamentali della fede non sono più noti. Molti battezzati vivono come se Cristo non esistesse: si ripetono i gesti e i segni della fede, specialmente attraverso le pratiche di culto, ma ad esse non corrisponde una reale accoglienza del contenuto della fede e della adesione alla persona di Cristo. Alle certezze della fede è subentrato in molti un sentimento vago e poco impegnativo; si diffondono varie forme di agnosticismo e di ateismo pratico che concorrono ad aggravare il divario tra la fede e la vita: diversi si sono lasciati contagiare dallo spirito di un umanesimo immanentista che ha indebolito la fede, portandoli purtroppo sovente ad abbandonarla completamente:
si assiste ad una sorta di interpretazione secolaristica della fede cristiana che la erode ed alla quale si collega una profonda crisi della coscienza e della pratica morale cristiana. I grandi valori che hanno ampiamente ispirato la cultura europea sono stati separati dal Vangelo, perdendo così la loro anima più profonda e lasciando spazio a non poche deviazioni. (E.E, n.47) A questo punto si domanda il S. Padre usando le stesse parole di Gesù: "Il Figlio dell'uomo quando verrà, troverà la fede sulla terra?" (Lc.18,8).
Comprendiamo allora il Vangelo che la Chiesa ci propone oggi. "Gesù chiamò í Dodici ed incominciò a mandarli a due a due e diede loro il potere sugli spiriti immondi." (Mc. 6,7-13).
Dio solo sa quanto oggi sia necessario anche in noi, nelle nostre comunità scavare fino in fondo nelle nostre coscienze per vedere, che posto occupa Gesù nella nostra vita; se davvero è il Bene Supremo: se Lo conosciamo bene: se, come Maria, proviamo la gioia di stare ai suoi piedi ed ascoltarLo, trascurando magari altre cose che potranno essere utili, ma troppe volte prendono tutti gli spazi della giornata.
E non solo, scoprire il posto che Dio occupa nelle nostre vite, ma prendere coscienza della nostra missione profetica avuta nel battesimo.
"Evangelizzare, infatti, è la grazia e la vocazione propria della Chiesa - scrive Paolo VI nella esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare, vale a dire per predicare ed insegnare, essere il canale del dono della grazia, riconciliare i peccatori con Dio, perpetuare il sacrificio del Cristo nella S. Messa che è il memoriale della sua morte e della sua gloriosa resurrezione". (E.N.14).
Siamo davvero chiamati a "rompere quel silenzio su Dio" che è come una dannosa ombra sulla nostra vita e rompere quel silenzio che la società pare ci imponga..
Un silenzio impossibile a chi, come noi, siamo chiamati a testimoniare l'amore, fino a dare la vita. Pare di risentire la voce di tanti cristiani: "Cristo per noi è tutto! Non taceremo mai!".