Omelia (13-07-2003) |
don Fulvio Bertellini |
Collaboratori suoi In questa domenica la prima buona notizia che ci raggiunge è che Dio ci chiama e ci manda. Il suo mistero di amore ci coinvolge e non ci lascia spettatori passivi, ma ci rende protagonisti. Siamo parte della sua storia di salvezza, e potremmo scomodare il termine impegnativo - che potrebbe essere anche fuorviante - di "collaboratori". Va aggiunto a questo termine il detto giovanneo: "senza di me non potete far nulla". Siamo collaboratori, ma anche servi inutili. Non dobbiamo scordare né l'una né l'altra cosa. Nella Chiesa I collaboratori vengono inviati a due a due, in forma strutturata, o istituzionale. Il che può dare un po' fastidio: noi preferiamo le forme libere, chi canta fuori dal coro, sentiamo una simpatia istintiva per i ribelli e chi è fuori dai vincoli istituzionali. A parte il fatto che anche l'essere "fuori" dai vincoli in fondo è anch'esso un ruolo, e rientra anch'esso nel sistema, abbiamo in ogni caso molto bisogno di riscoprire il valore positivo dell'istituzione. Non un valore assoluto, un valore limitato potremmo anche dire, ma pur sempre un valore. "Senza di me non potete far nulla": il principio resta sempre valido. Tuttavia Gesù sceglie i dodici, e li manda a due a due. E questi dodici sono il primo nucleo della Chiesa, che è un'istituzione. Il che significa: legame stabile, decisione definitiva, solidità e sicurezza. Il che significa decidersi completamente, non tenere il piede in due scarpe, non tradire. L'istituzione ha a che fare con la pienezza di una scelta, e con la sua irrevocabilità. Ha anche a che fare con la visibilità, con la permanenza. Ci sono oggi molti che si dichiarano cristiani senza Chiesa. Ma senza la Chiesa, il Vangelo sarebbe un libretto archeologico, una curiosità culturale riservata a pochi. Con tutti i suoi difetti, la Chiesa ha fatto il suo compito. Nella povertà Gesù raccomanda di non prendere nulla per il viaggio. Le sue prescrizioni sembrano molto (o troppo) severe, e, rapportate ai nostri tempi, inattuali. Nell'età informatica quali sono le cose di cui, come comunità cristiana, dovremmo fare a meno? Quali sono le zavorre al nostro annuncio? Dobbiamo buttare a mare computer, cellulari, videogames? O dobbiamo usarli ed "evangelizzarli"? Così il problema è male impostato. Quello di cui ci dobbiamo ricordare è, come dicevamo prima, che "senza di me non potete far nulla". La povertà di mezzi deriva dal ricordarsi costantemente che prima che una nostra impresa, da condurre con più o meno cose, l'evangelizzazione è la sua impresa. E' lui che entra in contatto con i cuori. Il momento decisivo è quindi quello in cui tutti i mezzi umani vengono meno, e resta il rapporto personale. Nella relazione La povertà permetterà ai discepoli di entrare nelle case, e di fermarsi. Questo è il suo fine principale. Il discepolo povero ha la possibilità di essere accolto, non perché porta delle cose, ma perché porta il Cristo. Ogni altro tipo di relazione rischia di essere deviato e strumentalizzato. Nella libertà Quando sono le risorse umane che prevalgono, l'annunciatore del Vangelo può avere l'illusione di aver conquistato qualcuno. In realtà, l'ha conquistato con i mezzi umani. E quindi rischia di non aver conquistato nulla. La relazione personale "povera" non si basa sullo scambio di risorse, o sullo sfruttamento reciproco, ma va in profondità. Dove può avvenire un'autentica scelta. Come discepoli non siamo obbligati a conquistare nessuno. "Se non vi ascolteranno, andandovene, scuotete la polvere a testimonianza per loro": anche l'annuncio fallimentare è un successo, se in qualche modo ha stimolato la libertà. Altrimenti diventa solo seduzione: e i fedeli affolleranno le parrocchie per le iniziative aggregative, per le attività caritative, per le tombole e i tornei, perché c'è il prete simpatico... ma non arriveranno mai ad incontrare Gesù. Perché è lì che vogliamo arrivare. "Senza di lui non possiamo far nulla...". PRIMA LETTURA Per la seconda domenica consecutiva una lettura profetica, e per la seconda domenica consecutiva il tema è il rifiuto del profeta. Amos viene allontanato dal santuario di Betel, il santuario nazionale del Regno del Nord al tempo della monarchia divisa. La sua predicazione cozza contro gli interessi politici del re e contro gli interessi economici della classe dirigente. Inoltre vediamo anche una certa rivalità personale nelle parole del sacerdote Amasia: Amos, che viene dal Regno del Sud, il regno di Giuda, è invitato a tornarsene da dove è venuto. Il sacerdote dimostra di gradire poco la concorrenza, e sembra ispirarsi ad un sano principio di spartizione: ognuno eserciti il mestiere di guida religiosa nel suo territorio. La risposta di Amos è chiara: non c'è nessuna forma di lucro o di guadagno dietro la sua predicazione, né alcuna lotta di potere. Quello che dice, lo dice unicamente per ispirazione divina, spinto da Dio, quasi controvoglia. Amos aveva il suo lavoro, la sua vita tranquilla e la sua stabilità economica: la chiamata divina lo prende, potremmo dire lo rapisce, e gli impone il nuovo incarico di profeta. La sua voce pertanto è una voce libera, una voce autentica; le parole di Amasia sono dettate unicamente dall'interesse personale, dal desiderio di compiacere il re, dall'esigenza di non turbare gli animi. Le parole di Amos invece danno fastidio: presentano la dura realtà che si cela dietro apparenze di splendore: il peccato del popolo lo sta conducendo alla rovina. SECONDA LETTURA "Benedetto sia Dio...": possiamo considerare questa lettura come un modello di preghiera. E' molto importante nel corso di un'estate, periodo solitamente dedicato al relax, al riposo, alla ri-creazione dello spirito, trovare qualche momento da dedicare specificamente alla preghiera, alla riflessione, al rapporto con Dio. Ma non come una parentesi nel corso dell'anno, bensì come una riscoperta da vivere tutto l'anno. "Padre del Signore nostro Gesù Cristo...": al centro della preghiera di Paolo sta il rapporto con Dio. Si comincia con la benedizione per Dio, si conclude con la "lode della sua gloria". E' Dio il protagonista della preghiera di Paolo. Invece spesso i protagonisti della nostra preghiera siamo noi, con le nostre richieste e i nostri bisogni. Così la nostra preghiera rischia di ingarbugliarsi sempre più nei ghirigori delle nostre scelte sbagliate e delle nostre prospettive parziali. E' ottima cosa che la preghiera nasca da ciò che concretamente viviamo; e non c'è nessun male a pregare per chiedere. La Bibbia è piena di preghiere di richiesta. Ma partendo dalla richiesta, dal grido di aiuto, la nostra preghiera deve arrivare a riscoprire la lode di Dio, a ringraziarlo, a restituire a lui la grazia donata. "... che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale": la benedizione di cui parla l'apostolo è una benedizione spirituale. Cioè, data dallo Spirito e nello Spirito. Il dono grande che riceviamo da lui è principalmente lo Spirito, di cui possiamo percepire vari effetti: salute, forza fisica guarigione, gioia interna ed esterna... ma anche effetti non materiali, non percepibili immediatamente, anche se sono quelli fondamentali. "In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo...": il vertice della preghiera viene toccato quando abbracciamo in tutta la sua ampiezza e profondità il progetto di Dio, e scopriamo di essere da sempre amati da lui, in una maniera indicibile. Tutto allora appare nell'ottica della grazia: di fronte a Dio scompare ogni pretesa, e rimane solo il grazie. |