Omelia (09-05-2010)
padre Ermes Ronchi
È amando che si capisce la Parola

Se uno mi ama. Gesù ri­vendica per sé, per la prima volta, il senti­mento più importante e di­rompente del mondo uma­no: l'amore. Entra nella no­stra parte più intima e profonda, ma con estrema delicatezza. Tutto poggia sulla prima parola «se», «se tu ami». Un fondamento co­sì umile, così libero, così fra­gile, così puro, così pazien­te. «Se mi ami osserverai la mia parola» e non esprime un ordine, non formula un comando, ma apre una pos­sibilità; non un verbo al­l'imperativo, ma al futuro e che esprime il rispetto emo­zionante di Dio, che bussa alla porta del cuore e atten­de: se ami, farai. E subito rovescia il nostro modo di pensare. Noi a­vremmo detto: se osservi la mia parola arriverai ad a­marmi,
senza avvertire che questa logica capovolge il Vangelo, perché vede Dio come uno specchio su cui far rimbalzare i propri meri­ti, Dio della legge e non del­la grazia. Un detto medioevale affer­ma: «I giusti camminano, i sapienti corrono, gli inna­morati volano». L'amore mette una energia, una luce, un calore, una gioia in tutto ciò che fai, e ti pare di vola­re. Volare a osservare la sua Parola, così è scritto, e noi invece abbiamo subito ca­pito male come se Gesù a­vesse detto: a osservare i miei comandamenti. E invece no, la Parola non coincide con i comandamenti, è molto di più. La Parola salva, illumi­na, traccia strade, consola. La Parola fa vivere, semina i campi della vita, ti incalza, porta Dio in te.
Solo se la ami, la Parola si ac­cende, porta pane, soffia nelle vele. Solo se hai scoperto la bellezza di Cristo partirà la spinta a vivere il suo Vangelo. Perché la no­stra vita non avanza per col­pi di volontà ma per una passione. E la passione nasce da una bellezza. In me l'amore per Gesù sgorga dal­la bellezza che ho intuito in lui, dalla sua vita buona, bel­la e beata. Poi una seconda serie di espressioni:
verremo a lui, prenderemo dimora presso di lui, tornerò a voi. Un Dio che ama la vicinanza, che abbrevia instancabilmente le distanze. E prenderemo di­mora: in me il Misericordio­so senza casa cerca casa. Forse non troverà mai una vera dimora, solo un pove­ro riparo. Ma una cosa Lui mi domanda: essere un frammento di cosmo ospi­tale. Dio non si merita, si o­spita.
Ma se non pensi a lui, se non gli parli dentro, se non lo a­scolti nel segreto, forse non sei ancora casa di Dio. Se non c'è rito nel cuore, una liturgia segreta e intima, tut­te le altre liturgie sono ma­schere del nulla. Custodia­mo allora i riti del cuore.