Omelia (16-05-2010)
mons. Roberto Brunelli
Un binomio inscindibile

Quand'anche raccontano lo stesso fatto, i diversi evangelisti non lo espongono mai in modo identico; ciascuno vi ha inserito particolari propri, che evidentemente riteneva utili ai lettori per i quali scriveva. L'evento che oggi si celebra, l'ascensione di Gesù al cielo (si intende quella visibile, avvenuta quaranta giorni dopo la risurrezione, perché in realtà Gesù è tornato al Padre suo subito dopo essere risorto dai morti), Luca lo narra così. Prima di sottrarsi definitivamente alla vista degli apostoli, Gesù ha ricordato loro che la sua morte e risurrezione sono state l'adempimento delle profezie: "Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno", e ne ha dato anche la motivazione: il Figlio di Dio si è fatto uomo, è morto ed è risorto per dare a tutti gli uomini la possibilità di diventare amici di Dio: "Nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati". Ha specificato inoltre a chi affidava il compito di quella predicazione: "Di questo voi siete testimoni", e ben consapevole della difficoltà del compito ha assicurato loro il più potente degli aiuti: "Ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso", vale a dire lo Spirito Santo, come è avvenuto pochi giorni dopo, a Pentecoste.
Detto questo, Gesù "li condusse fuori, verso Betania e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo". Dovendo farsi capire da uomini, egli si è diretto là dove gli uomini immaginano stia Dio: il quale in realtà non "sta" in un luogo geografico, ma vive in un'altra dimensione, fuori dal tempo e dallo spazio. Vi aveva già accennato mille anni prima Salomone quando, consacrando il grande tempio da lui costruito a Gerusalemme come "casa di Dio", si era chiesto: "Ma è proprio vero che Dio abita sulla terra? Ecco, i cieli, e i cieli dei cieli, non possono contenerti; tanto meno questa casa che io ho costruito!" (Primo libro dei Re 8,27). Perciò, nel fatto che Gesù ascende "al cielo" si deve vedere non un'indicazione topografica ma un gesto di condiscendenza verso i limiti della mente umana, relativamente a realtà che vanno oltre la comune esperienza..
Detto del ritorno di Gesù al Padre, Luca conclude il suo vangelo annotando il successivo immediato comportamento degli apostoli: "Essi si prostrarono davanti a lui", cioè riconobbero la sua divinità; "poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio". Gioia e lode a Dio: un binomio inscindibile, nell'ottica della fede. La gioia di cui si parla qui non è la superficiale allegria per qualcosa di piacevole che può capitare, e si dissolve di fronte a dolori o preoccupazioni; è la gioia intima e profonda che i mali terreni non scalfiscono (anzi, aiuta ad affrontarli), perché deriva dal sapersi amati da Dio, dal costatare quanto egli ha fatto, fa e farà per noi. Di qui il ringraziamento, la lode, che trova nella Messa la sua più alta espressione (il nome proprio della Messa è Eucaristia, che significa ringraziamento).
Nel quadro della gioia cristiana, l'ascensione di Gesù costituisce un tassello di speciale importanza: con lui, il Figlio di Dio fattosi uomo, Dio ha unito l'umanità a sé in modo ormai definitivo, indissolubile; con il Figlio ricongiuntosi al Padre anche la nostra umanità è in Dio. Il Padre riconosce in noi qualcosa del suo stesso Figlio; perciò ci ama e ci apre le porte della sua casa, confidando che non lasciamo cadere l'offerta di entrarvi. Durante l'ultima cena, preannunciando il suo esodo da questo mondo, Gesù ha detto: "Vado a prepararvi un posto". Il cristiano sa di quel posto preparato per lui, ne loda Dio, e cerca di vivere in modo da meritare di andare ad occuparlo.