Omelia (17-08-2003) |
don Roberto Rossi |
Chi mangia la mia carne vivrà in eterno Nel brano evangelico di oggi troviamo la conclusione del discorso sul pane della vita, così come viene riferita da S. Giovanni. In questo caso più che mai, sarebbe vano voler distinguere ciò che Gesù intendeva dire da ciò che l'evangelista ha compreso, dopo molti anni di esperienza ecclesiale. Tutto il discorso, e in particolare la conclusione, riflette il ricordo serbato da Giovanni della rivelazione che Gesù ha fatto di se stesso attraverso la sua parola e la sua croce: egli è stato e continua ad essere per noi il pane vivo disceso dal cielo, carne e sangue donati per la vita del mondo, comunione col Padre e con lo Spirito, cibo di vita eterna e di risurrezione. La conclusione del discorso, accentuando il simbolismo eucaristico già presente nella prima parte, si riferisce in maniera esplicita all'Eucarestia, con parole che si ricollegano direttamente ai racconti dell'ultima cena. Gesù, nel suo sacrificio, sta per offrire la sua persona concreta come cibo e bevanda, che bisognerà mangiare e bere. Accoglierlo realmente sotto i segni sacramentali significherà, per il cristiano, raggiungere con lui un'intimità nuova, partecipare alla comunione divina ed eterna del Padre e del Figlio, ricevere la promessa della resurrezione nell'ultimo giorno. Tutti gli ulteriori sviluppi della fede eucaristica vengono qui messi in stretto rapporto con la missione del Signore e col disegno di salvezza che Dio persegue fin dalle origini. Un pezzo di pane: è tutto ciò che ci rimane di Gesù, con le sue parole che chiariscono il gesto di prendere e mangiare, entrando in comunione con Lui. Chi mangia viene a sua volta "assimilato", unito a Gesù tanto quanto è aperto ad accoglierlo, e viene invitato a donarsi anch'egli senza misura. Potremmo sperare una prova d'amore più grande di questo straordinario scambio? |