Omelia (27-07-2003)
Paolo Curtaz
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Il miracolo della moltiplicazione dei pani è raccontato da tutti gli evangelisti ed è stato sicuramente il miracolo più eclatante nella vita di Gesù quello che – però – ha segnato l'inizio della sua fine; un miracolo che ha fatto immenso scalpore, che ha scosso gli animi e che sembrava decisivo per l'affermazione del messianismo di Gesù il quale – ahimé – si è dovuto scontrare con la fragile condizione degli uomini.

Giovanni sceglie proprio questo miracolo per iniziare una complessa catechesi alle sue (e alle nostre) comunità su chi è Dio e su cosa siamo noi e quale debba essere l'atteggiamento corretto del discepolo.

Il contesto lo conosciamo: Gesù è a una svolta: il falegname di Nazareth ha lasciato la sua bottega ed ora gira con un gruppo di discepoli, come si usava a quell'epoca, parlando di Dio. E fin qui nulla di particolare per un paese, Israele, che da sempre pone l'avvenimento religioso come determinante per la propria storia.

Questo Rabbì, però, acquista nel giro di pochi mesi una fama insperata (ricordate l'appunto di Marco che ci rivela che il gruppo non riusciva neppure a mangiare in santa pace?) e folle (v'immaginate a quell'epoca radunare cinquemila persone?) lo seguono attratti un po' dalle sue parole e molto per la sua fama di guaritore potente ("miracolite acuta" che colpisce da sempre tutti...).

Bene: qui a Cafarnao succede la tragedia, la frattura, la fine di una neonata brillante carriera politica. Gesù moltiplica i pani (la gente lo vuole far re: vorrei vedere il contrario! Chi non incoronerebbe uno che distribuisce pane e pesci a gratis?) e fa un discorso duro, durissimo, incomprensibile che avrà (non vi anticipo la fine della telenovela!) un esito drammatico.

Oggi il lungo episodio inizia descrivendo il miracolo: cinquemila persone accampate lungo le sponde collinose del bellissimo lago di Tiberiade: un Rabbì che parla e che, nella sua concretezza, vede che l'ora del pasto avanza. Qui il miracolo che tutti conosciamo: la proposta di sfamare la gente, la risposta indispettita e realista degli apostoli, il ragazzino che propone la sua merenda che sfamerà, con inaudita abbondanza (sfamate voi e avanzate una decina di ceste di cibo per gente che mangiava quando ne aveva!).
Vorrei fermarmi oggi proprio su quel gesto, ingenuo all'apparenza, di questo ragazzino che con entusiasmo dona a Gesù la sua piccola merenda.

Fa ridere: c'immaginiamo la faccia divertita degli apostoli che avevano già elaborato un bel progetto di cooperazione internazionale e fatto due conti: c'era addirittura chi dubitava di riuscire a trovare pane sufficiente nel circondario e comunque Filippo si rende conto che non sono pronti ad intervenire, che una somma enorme (duecento denari, cioè duecento giornate lavorative!) non sarebbe sufficiente a sfamare la folla: si arrangino, occorre arrendersi all'evidenza.

E avviene l'impossibile, come sappiamo, Gesù trasforma la merenda di questo ragazzo, il più saggio di tutti, in abbondanza. Dio è fatto così: non interviene al posto nostro, chiede la nostra collaborazione, non si sostituisce a noi, esige che ci mettiamo in gioco, che diamo del nostro. Quante volte preghiamo Dio perché ci risolva i problemi, quante volte ci arrendiamo davanti all'oceano di miseria che siamo incapaci a gestire, come la folla troppo numerosa! Invece Gesù ci ammonisce e c'invita ad andare oltre, a farlo questo gesto folle e generoso, senza misurare, senza contare, senza economizzare.

Davanti alla tristezza e alla devastazione del nostro mondo Dio si manifesta il più equilibrato e il più logico di tutti noi, chiedendoci di intervenire. Lo vogliamo davvero un Dio così? Un Dio che ci chiede di assumerci le nostre responsabilità senza scaricarle su di lui? Ecco, amici, oggi è la meditazione sul dono di sé, sul coinvolgimento, sul salto nella fede. Giunge un momento, nella nostra vita spirituale, in cui ci si ritrova come a Cafarnao: è bello ascoltare Gesù, solletica la nostra fede, ci affabula, e poi i suoi gesti sono credibili, straordinari.

A questo punto Gesù chiede. Poco, pochissimo, ma chiede.

Chiede di abbandonare la platea e di salire sul palco, chiede di non stare alla finestra ma di lasciarci coinvolgere, chiede di metterci in gioco e di condividere con gli altri quel poco che siamo, ma di condividerlo. C'è un momento, nella nostra storia, in cui Gesù chiede la fede, di fidarsi, di credergli, di dare del nostro. Sarà poi lui a fare il miracolo. Sarà lui a sfamare noi e gli altri, sarà lui a moltiplicare all'infinito la nostra tiepida apertura di cuore. Ma la chiede.
Forse la ragione della nostra tristezza e della nostra fatica è semplicemente la nostra poca fiducia in lui: quel ragazzino del vangelo insegna a tutti noi qual è la logica di Dio...