Omelia (27-07-2003)
mons. Antonio Riboldi
"QUANDO L'AMORE ROMPE GLI ARGINI"

Se c'è un segno, in cui fa capolino l'anima bella dell'uomo e quindi dell'umanità, è la grande solidarietà che si manifesta nei piccoli eventi o nelle grandi calamità o semplicemente nel volere in qualche modo togliere dalla croce i tanti crocifissi della superbia umana.
Dovremmo tenere sempre presente che Dio, creando l'uomo, a ciascuno ha dato il diritto di avere qui su questa terra, che è sua e noi siamo semplici amministratori, una dignità di vita che gli doni salute, lavoro, casa, possibilità di "essere veri uomini, con i piedi a terra, ma con la possibilità di avere sempre lo sguardo verso il Cielo.
Ma non è così.
La terra è piena di poveri: poveri di pane, di acqua, di possibilità di realizzarsi: poveri di amore, poveri quindi per solitudine. E' immenso il mondo della povertà, che siamo chiamati a conoscere e condividere.
Come fece Gesù con quanti erano accorsi a Lui, che si era concesso, se ricordate, un momento di riposo con i suoi, in barca, sul mare di Galilea. Un riposo che la gente, accorsa a Lui con tutti i suoi ammalati, interrompe subito. E Gesù non si fa pregare. Lui è la carità che non conosce riposo: è l'amore che rompe tutti gli argini che tante volte noi uomini costruiamo per difendere le nostre sicurezze, anche se queste poi sono cause della povertà.
Siamo davanti ad un mondo che oggi conosce la grande separazione tra chi sembra impazzito nel rincorrere ricchezze e benessere e chi è privato anche del necessario e quindi condannato ad una vita che offende la giustizia di Dio, che si vede "derubato" nei poveri.
Diceva il caro don Tonino Bello, vero apostolo dei poveri, di ogni povertà: "Di fronte alla ingiustizia del mondo, alla iniqua distribuzione delle ricchezze, alla diabolica intronizzazione del profitto sul gradino alto della scala dei valori, il cristiano non deve tacere.
Come non può tacere dinnanzi ai modelli dello spreco, del consumismo, dell'accaparramento ingordo, della delapidazione delle risorse ambientali.
Come non può tacere di fronte a certe egemonie economiche che schiavizzano i popoli, che riducono al lastrico intere nazioni che provocano la morte per fame di 50 milioni di persone all'anno, mentre per la corsa agli armamenti, con incredibile oscenità, si impegnano capitali da capogiro.
Ebbene, quale voce di protesta il cristiano può levare per denunciare queste prove, che il Santo Padre nella "Sollecitudo rei socialis" ha avuto il coraggio di chiamare "strutture di peccato"? Quella della povertà?
L a povertà deve essere intesa come condivisione della sofferenza altrui.
E' la vera profezia, che si protesta, stimolo, proposta, progetto. Mai strumento per la crescita del proprio prestigio o turpe occasione per scalate rampanti.
Povertà che si fa martirio: tanto più credibile, quanto più si è disposti a pagare di persona. Come ha fatto Gesù Cristo che non ha stipendiato dei salvatori, ma si è fatto lui stesso salvezza, e per farci ricchi si è fatto povero fino al lastrico dell'annientamento. L'educazione alla povertà è un mestiere difficile per chi la insegna e per chi la impara.
Forse è proprio per questo che il Maestro ha voluto riservare ai veri poveri, la prima "beatitudine" A. Bello: "Vegliare" (46)
Il Vangelo che oggi la Chiesa ci propone da meditare è quello della moltiplicazione dei pani. Abbiamo lasciato Gesù la scorsa domenica che mostra una rara delicatezza verso i suoi discepoli che erano tornati entusiasti dalla missione e non finivano di raccontare le meraviglie che Dio aveva compiuto tramite loro. Gesù vede la loro fatica e la loro gioia e, se ricordate, li invitò a prendere fiato. "Venite in disparte in un luogo solitario e riposatevi un poco". Giovanni l'evangelista ci fa sapere che il riposo lo fecero in una breve gita sulla barca sul mare di Galilea. "Ma una grande folla li seguiva, vedendo i segni che faceva sugli infermi. Allora Gesù sulla montagna si pose a sedere con in suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei. Alzati gli occhi, Gesù vide una grande folla che veniva da lui e disse a Filippo: "Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?" Diceva questo per metterlo alla prova: egli infatti sapeva bene quello che stava per fare. Gli rispose Filippo: "Duecento denari di pane non sono sufficienti perché ognuno possa riceverne un pezzo". Andrea, fratello di Simon Pietro, disse: "C'è qui un ragazzo che ha cinque pani e due pesci: ma che cosa è questo per tanta gente?" Gesù prese i cinque pani e i due pesci e, dopo aver reso grazie li distribuì a quelli che erano seduti e lo stesso fece dei pesci, finché ne vollero".
Anzitutto colpisce immediatamente l'attenzione di Gesù verso quella folla, che era venuta da Lui. Comprende che bisognava ristorarli. Potrebbe bene fare il miracolo, senza coinvolgere la povertà degli apostoli.
Girando fra quella folla trovano solo cinque pani e due pesci. Una vera miseria di fronte alla fame di una moltitudine. Ma quei cinque pani e due pesci è la condivisione che cercava. Gesù vuole associare alla sua potenza la nostra povertà. Quanto la ama Gesù la generosità di chi davanti alla povertà del mondo non si ferma a offrire spiccioli che a volte sono davvero piccolo segno di condivisione di fronte alla "folla di poveri" che con fiducia ci tendono la mano per non morire. "La povertà, ci ricordava Tonino Bello, deve essere intesa come condivisione alla sofferenza altrui"...mai come elemosina che è come stare alla periferia della condivisione, e non è carità secondo Cristo.
Mamma, quando ero ancora piccolo, ogni domenica ci faceva come una scuola della carità. Eravamo poveri, ma doveva sempre esistere nella vita un angolo per chi ha niente. Prima di recarci alla S. Messa dava ad ognuno di noi figli 10 centesimi, che era il massimo che aveva, per essere anche noi presenti alla offerta durante la Messa. "Così si partecipa, ci diceva, all'amore di Gesù che nella Messa ci dà non un pezzo di pane a noi poveri, ma la sua vita".
Mi ha sempre colpito quanto il Vangelo racconta della vedova povera.
"Gesù andò a sedersi vicino al tesoro del tempio e guardava la gente che metteva i soldi nelle cassette delle offerte. C'erano molti ricchi i quali buttavano molto denaro. Venne anche una povera vedova e vi mise soltanto due monetine di rame. Allora Gesù chiamò i suoi discepoli e disse: io vi assicuro che questa vedova, povera come è, ha dato una offerta più grande di quella di tutti gli altri! Infatti gli altri hanno offerto quello che avevano di avanzo, mentre questa donna, povera com'è, ha dato tutto quello che possedeva, quello che le serviva per vivere". (Mc. 12,41-44).
E' lo stile della condivisione che chiede Gesù. Sapessimo imitare quella vedova, anche in parte, credo che nel mondo tornerebbe giustizia per tutti.
Non so cosa succede ai miei lettori. Sul mio tavolo non c'è giorno che non arrivino appelli di ogni genere, in cui si propongono condivisioni che a volte si accontentano anche degli "spiccioli". Io stesso faccio parte della associazione "amici dei lebbrosi" e so quanto si potrebbe fare e non si riesce a fare.
Nessuno ci chiede miracoli.. Ognuno di noi potrebbe essere quella goccia d'acqua che insieme alle altre formano l'oceano!
Gesù infine ci insegna un'altra cosa importante. Quella di non fare chiasso quando facciamo la nostra parte di "goccia". Dice il Vangelo: la gente, visto il segno che aveva compiuto cominciò a dire: "Questi è il profeta che deve venire nel mondo!" Ma Gesù, sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo in montagna tutto solo" (Gv. 6,1-15).
Ci ha insegnato che bisogna "fare strada ai poveri senza farsi strada coi poveri".

Antonio Riboldi - Vescovo

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