Omelia (06-06-2010)
padre Ermes Ronchi
E venne Colui che si prende cura

G esù prese a parlare di Dio e a guarire quanti avevano bi­sogno di cure. C'è tutto l'uo­mo in queste parole; il suo nome: creatura-che-ha-bisogno, di Dio e di cure, di pane e di assoluto. C'è tut­ta la missione di Gesù: accogliere, dare speranza, guarire. C'è il nome di Dio: Colui-che-si-prende-cura. La prima riga di questo vangelo la sen­to come la prima riga della mia vi­ta: sono io uno di quegli uomini, ho bisogno di cure, di qualcuno che si accorga di me e poi mi sospinga ol­tre. Ma il giorno declina, bisogna pensare alle cose pratiche, gli apo­stoli intervengono: mandali via per­ché possano andare a cercarsi da mangiare.
Ma Gesù non ha mai mandato via nessuno. Il Signore non manda via perché lui per primo ha bisogno di comunione, con ogni do­lore, con ogni peccato, ogni sorriso. Vive di comunione, vive donando­si. Gesù replica invece con un ordi­ne che inverte la direzione del rac­conto: date loro voi stessi da man­giare.
«Date»: un ordine che attraversa i secoli, che arriva fino a me, che e­cheggerà nel giorno del Giudizio: a­vevo fame e mi avete dato da man­giare...
Dio che lega la nostra sal­vezza a un po' di pane donato, lega la sconfitta della storia al pane ne­gato. Non abbiamo che cinque pa­ni e due pesci... è poco, quasi nien­te. Ma la sorpresa di quella sera è che poco pane condiviso tra tutti è sufficiente; che la fine della fame non consiste nel mangiare a sazietà, da solo, voracemente, il tuo pane, ma nel condividerlo, spartendo il poco che hai, due pesci, il bicchiere d'acqua fresca, olio e vino sulle fe­rite, un po' di tempo e un po' di cuo­re. Noi siamo ricchi solo di ciò che abbiamo donato. Sulle colonne del­l'avere troveremo solo ciò che ab­biamo dato ad altri.
Dal pane al corpo. La festa del Cor­po di Cristo, offerto come pane, di­ce che «né a noi né a Dio è bastata la Parola. Troppa fame ha l'uomo e Dio ha dovuto dare la sua carne e il suo sangue» (Divo Barsotti). «Ecco il mio corpo», ha detto Gesù, e non, come ci saremmo aspettati: «ecco la mia anima, il mio pensiero, la mia divinità, ecco il meglio di me», sem­plicemente, poveramente: «ecco il corpo». La cosa più vicina a noi, ca­sa della fatica, volto modellato dal­le lacrime e levigato dai sorrisi, sa­cramento di incontri, luogo dove è detto il cuore. Cristo dà il suo corpo, perché vuole che la nostra fede si appoggi non su delle idee, ma su di una Persona, assorbendone storia, sentimenti, piaghe, gioie, luce; dà, perché dare è la legge della vita, u­nica strada per una felicità che sia di tutti.