Omelia (03-08-2003)
mons. Antonio Riboldi
"SIGNORE, DACCI SEMPRE DI QUESTO PANE"

Ci sono momenti od eventi che a volte ci costringono ad uscire dal chiasso o se volete dal buio della vita e ci interpellano su cosa è veramente necessario per dare senso a questa vita. In noi e attorno a noi ci sono troppe cose che sono come una fame che non sazia.
Ma di chi o di cosa abbiamo veramente bisogno? Il più delle volte la riposta è che, guardando al mondo ed alle cose del mondo, ci sembra che nulla o nessuno possa venire incontro a quella fame che chiede altro per essere saziata, a quella sete che chiede di essere tolta.
Ci aiuta il Vangelo di oggi. Possiamo facilmente immaginare la scena che il Vangelo ci descrive. La folla era stata saziata dal miracolo dei pani e dei pesci, un fatto che aveva fatto intravedere in tutti che tra loro era venuto il Messia, che avrebbe risolto tutti i problemi terreni dell'uomo. Al punto che, racconta Giovanni, Gesù fuggì, ritirandosi solo in montagna, dopo avere invitato i suoi a prendere riposo sulle barche, perché aveva intuito che lo volevano "eleggere re".
Purtroppo sono tanti ancora tra di noi e lontano da noi quelli che si vedono condannati a vedere il proprio diritto alla vita, alla salute, alla libertà come un sogno irraggiungibile. Forse anche noi non sentiamo neppure più la loro voce perché coperta dai frastuoni di un benessere che ci rende ragione dei lamenti.
Quella folla allora non voleva farsi sfuggire di mano un "messia", che aveva cercato, trovato, rincorso inaspettatamente sulla propria strada. E lo cerca affannosamente attraversando il lago di Tiberiade, fino a raggiungere Gesù che nel frattempo si era come appartato.
Gesù accoglie subito la folla ma vuole essere cercato per quello che veramente era ed è: per la missione che era venuto a compiere per volontà del Padre e che passava sì per la natura della carità, anche attraverso le sofferenze e le angosce degli uomini, ma la sua presenza il suo amore andava oltre, ossia voleva portare l'uomo alla vera felicità che non può fermarsi ad un pezzo di pane o a un insulso e dannoso benessere...va oltre, tanto oltre, fino a varcare le porte del Paradiso, già qui, presente in Gesù.
E affronta subito con chiarezza la folla, cancellando di colpo la voglia di fragili certezze. "Voi mi cercate, dice, non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato dei pani e vi siete saziati. Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna e che il Figlio dell'uomo vi darà...Io sono il pane della vita: chi viene a Me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete" (Gv. 6,24-35).
Una affermazione che non viene subito capita appieno tanto che dissero: "Dacci sempre di questo pane". Ricevere il pane di Dio significa credere in Gesù, accostarsi a Lui come al Figlio per ricevere da Lui quella vera vita, che il Padre ci riserva e per cui ci ha creati. Gesù quando parla di sé, non parla come di un eroe o di un superuomo, quelli che si affacciano spesso sulla faccia del mondo a promettere pane che non toglie la fame. Da questi falsi messia dovremmo sapere prendere le distanze perché sono miseri uomini che hanno "fame del pane del cielo" come tutti. Gesù si presenta come "il pane del cielo" che nulla ha a che vedere con il pane della terra.
Viene da chiederci: ma chi mai può saziare la infinita fame dell'uomo?
Ci vuole un "pane" che non abbia il sapore delle cose morte della terra, ma venga direttamente da chi è la Vita, Dio. Se siamo onesti con noi stessi, facendo tacere per un attimo le voci della terra che ingannano, dobbiamo dirci che nessuno e niente può essere questo pane.
Sedevo una sera su un muretto che dominava una grande città, con un giovane che questa vita se l'era goduta fino in fondo, cercando disperatamente in ogni cosa o in qualcuno ciò che avesse il potere di saziarlo.Giungevano fino a noi le luci della città, che sembrava ubriaca di vita. Come a manifestare la sua voglia di follia infinita, faceva arrivare fin lassù il rumore assordante delle macchine e dei suoni che da lontano sembravano volessero trasmettere un messaggio di festa e di follia. "Ha mai pensato, padre - mi disse quel giovane ad un tratto - cosa vuol dire passare notti e notti in discoteche o semplicemente nei luoghi frequentati della nostra città: farsi distruggere dentro da quel grande chiasso che chiamiamo musica? Essere circondato, spintonato da persone che parlano in continuità senza dirsi niente e ridono nello sforzo di dare un volto al divertimento che invece sa solo stordirti e questo per non prendere coscienza della propria fame e sete di vera vita? Lo sa quante volte ci si sente vomitare dentro per tutto questo? Amicizie che sono solo egoismi soddisfatti. Discorsi che sono solo rumori per ingannarsi". Ascoltavo questa lamentela, fatta di amarezza e lacrime. Alla fine gli chiesi: Che ne dici di quei giovani come te, che credono e cantano: "Gesù sei la mia vita, altro io non ho? Sono tanti, sai, questi giovani o meno giovani che non conoscono e non fanno discorsi come i tuoi; che hanno gettato dietro le spalle ogni fiducia nelle certezze di cartapesta che vedi nella disperata corsa verso una sazietà e felicità che non può offrire questa terra; giovani che sono felici dentro e gliela leggi la felicità negli occhi quando li incontri. Sono nelle scuole, nelle famiglie, nelle chiese, anche nelle piazze, nei conventi. Sono pazzi secondo te?" Tutti e due si tacque per un lungo tempo. Io pensavo a quando ero piccolo e mia madre mi insegnava che "una buona Comunione vale di più di una buona colazione". Pensavo a chi può essere la sola ragione dell'esistenza, chi davvero può farmi conoscere e donarmi la felicità, a chi insomma potermi affidare tranquillamente, come ad una certezza che non tradisce. Chi poteva meritare quella frase: "Tu sei la mia vita, altro io non ho".
La risposta era ed è da sempre una, Gesù. "Io sono il pane della vita". E ancora oggi, mentre scrivo, mi commuove questo mio Signore, che non si impone con grandezze da spaventare o con alcun rumore, ma si avvicina a passi felpati, come è nella natura dell'amore, che conosce libertà e gratuità, per offrirsi come cibo che veramente dà vita.
Alla fine ci confidammo le nostre riflessioni. Dissi a quel giovane la mia gioia interiore, donata da Cristo, vero Pane di Vita.
E lui: "Padre, mi aiuti a trovare questo cibo". Diversamente non so come finirò, con questa nausea che mi sento addosso. Ci siamo, lo presi per mano, come per mischiarsi idealmente alla folla che ascoltava Gesù, per dirGli: "Signore, dacci sempre di questo pane".
Quel giovane ora è un felice padre di famiglia, numerosa per giunta, e quasi vive come se la vita fosse come una continua liturgia eucaristica.
E dà ragione della sua gioia ai figli con questa semplice frase: "Gesù è la mia vita altro io non ho".
L'ho rivisto poco tempo fa e siamo tornati sul muretto a sera. La città celebrava gli stessi riti di follia, come un disco rotto, incapace di inventare novità. Siamo stati un attimo a guardare poi ci siamo improvvisamente guardati negli occhi, ridendo di gusto. "Rido, Padre, mi disse, per il pericolo scampato. Che follia pensare che Gesù sia un pericolo! Potevo essere uno tra quella folla che è sotto i nostri occhi in città. Ora mi pare di essere come un missile che vola verso il Cielo: un cielo lontanissimo da questa follia che chiamano "cielo". Ma dovevo scoprire il segreto di quel "Io sono il Pane della Vita. Grazie, Padre!"

Antonio Riboldi - Vescovo

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