Omelia (02-07-2010)
Monaci Benedettini Silvestrini
Dal banco delle imposte alla mensa con Cristo

È lo stesso autore del Vangelo a narrare con stile semplice e scarno la storia della sua chiamata e della sua conversione. C'è un imperativo da parte di Gesù: «Seguimi!» e una risposta immediata: «Ed egli si alzò e lo seguì». Il proseguo è, almeno inizialmente, un festoso convivio in casa di Matteo con amici del suo rango, pubblicani e peccatori. I soliti guastafeste intervengono ancora una volta a contestare l'operato del Signore rivolgendosi ai suoi discepoli: «Perché il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Lo scandalo derivava da una falsa convinzione che faceva loro credere che certe categorie di persone dovessero restare emarginati perché impuri e peccatori e il mangiare con loro significava contrarre la loro stesso impurità. Di ben altro pensiero è il Signore. Egli, che ha chiamato e distolto Matteo dalle imposte, un mestiere che spesso degenerava in latrocinio, ora vuole gioire con lui, essere un suo commensale e far partecipi dello stesso gaudio anche altri convenuti per l'occasione. Lo stesso Gesù sintetizza così il suo pensiero e la sua missione: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori». È consolante per ciascuno di noi, è consolante per la nostra umanità peccatrice. Così evitiamo il bàratro e la morte eterna. Così la risurrezione ci affascina e la speranza di un mondo migliore, di una vita migliore non si spegne mai in noi.