Omelia (15-08-2010) |
Il pane della domenica |
Figli fatti per il cielo, come la madre Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente Una nave in crociera, i cui passeggeri non ricordano più dove siano diretti e neanche si curano delle comunicazioni sulla rotta date dal capitano, accanitamente interessati - come sono - molto di più alle informazioni sul menù del giorno, fornite con insistente frequenza attraverso il megafono dallo chef di bordo: sembra il fotogramma preciso, calzante della nostra società, "scattato" con largo anticipo, un secolo e mezzo fa', dal filosofo danese, S. Kierkegaard. Schiacciati sul presente: così risultiamo allo specchio di tante inchieste socio-culturali. Cancellata l'eternità, l'orizzonte si è fatto sempre più ristretto, il futuro si è fatto via via più corto: le domande più ricorrenti dei nostri ragazzi non riguardano più cosa fare da grandi, ma dove andare in vacanza quest'estate, in quale discoteca ritrovarsi sabato prossimo, cosa fare stasera dopo cena. Ovviamente il fenomeno chiama in causa noi adulti che non sappiamo più vivere impegni stabili, abbiamo cancellato dal nostro vocabolario aggettivi come duraturo, permanente, definitivo, e abbiamo derubricato dal nostro codice di comportamento parole come costanza, fedeltà, resistenza. Aveva ragione lo stesso filosofo quando diceva che "la cosa di cui ha più bisogno il tempo presente è l'eterno". La festa di oggi è perciò una boccata di ossigeno che ci disintossica dalle droghe allucinanti dell'effimero, del provvisorio, del "mordi e fuggi", del "se non oggi, quando allora?", e ci fa respirare l'aria per cui è fatto il nostro cuore: l'aria incontaminata, leggera, purissima del cielo. 1. "Oggi la Vergine Maria, madre di Cristo e nostro Signore, è stata assunta nella gloria del cielo": così canteremo tra poco nel prefazio, prima della preghiera eucaristica. Ora ci chiediamo: che cosa ha significato questo evento per Maria? Ci aiuta a rispondere la 1ª lettura. Con linguaggio simbolico l'autore ispirato dell'Apocalisse ci presenta la donna "vestita di sole" che dà alla luce un bambino. Contro di lei si apposta "un enorme drago rosso", feroce e vorace, pronto a divorare il bambino appena nato, ma questo viene subito rapito in cielo, mentre la donna trova riparo nel deserto. Così si compie la salvezza del nostro Dio e la potenza del suo Cristo. La chiave del simbolismo apocalittico spezza i sigilli e ci permette di decodificare il messaggio attraverso il velo trasparente delle immagini. La donna rappresenta la Chiesa, il popolo di Dio che genera il Messia, asceso definitivamente in cielo con la risurrezione. Contro il Cristo Signore il drago - che richiama il serpente antico della Genesi - scatena tutta la sua violenza più sadica, ma non riesce nel suo intento distruttore. Il mostro maligno deve quindi ripiegare sulla terra per inseguire la Chiesa e i suoi figli rifugiati nel deserto, ma neanche questo tentativo gli riesce, perché non ha alcun potere contro il popolo di Dio. Anche se non vi si parla direttamente ed esplicitamente di Maria, la liturgia ci ripropone questa pagina per descriverci la Madre del Signore, nella quale la Chiesa riconosce la sua primizia più felice, la sua immagine più alta, il suo più prezioso e splendido gioiello. Il vangelo ci presenta Maria incinta di Gesù - per l'intervento dello Spirito Santo - mentre si reca in visita all'anziana parente Elisabetta - anch'essa resa miracolosamente feconda - ed esprime il grido di gioia della giovane vergine di Nazaret, la quale ha preso piena coscienza del significato delle grandi cose che vanno "prendendo corpo" nella sua vita: giunge a compimento tutta l'attesa del suo popolo. Per mezzo di lei, Dio si è ricordato della sua misericordia promessa ai padri, ad Abramo e alla sua discendenza per sempre. Ma il vangelo ci mostra anche qual è il motivo più vero della grandezza di Maria e della sua beatitudine: è la fede. Infatti Elisabetta saluta la Madre del Signore e ne tesse l'elogio più significativo che mai sia stato fatto di Maria e che si potrebbe tradurre più fedelmente così: "Beata colei che ha creduto: ciò che le è stato detto, si compirà". La fede è il cuore di tutta la storia di Maria: non è la candida illusione di un buonismo ingenuo che pensa alla vita come ad una nave che scivola tranquilla verso il porto della felicità. Maria sa - e lo dice - che nella storia pesa la violenza dei prepotenti, l'orgoglio sfacciato dei ricchi, la sfrenata tracotanza dei superbi. La salvezza dei credenti non avviene senza l'esperienza della lotta, del conflitto, della persecuzione. Ma Dio - Maria lo crede e lo grida - non lascia soli i suoi figli, umili e poveri, ma li soccorre con misericordiosa premura, rovesciando i potenti dai loro troni, disperdendo gli orgogliosi nelle trame perverse del loro cuore. Il Magnificat ci lascia anche intuire il senso compiuto della vicenda di Maria: se la misericordia del Signore è il motore della storia, se l'amore di Dio avvolge per sempre tutta l'umanità, allora non poteva "conoscere la corruzione del sepolcro colei che ha generato il Signore della vita" (pref.). Non poteva finire sotto una zolla di terra una donna come lei che, concependo l'umanità del Figlio di Dio, aveva il cielo incorporato nel suo grembo. 2. Tutto questo non riguarda solo Maria: le "grandi cose" fatte in lei dall'Onnipotente ci toccano sensibilmente, irreversibilmente. Ci parlano del nostro viaggio nella vita, ricordano alla nostra memoria corta e svagata la meta che ci attende, puntuale e godibile: la casa del Padre. Vista alla luce di Maria, assunta in cielo, la nostra vita non è un fortunoso vagabondaggio alla cieca, con tanti affanni, con qualche piacere raro e inusuale, e per giunta al prezzo salato di molto dolore; non è neanche una gioconda crociera che un destino arcigno tenta ostinatamente di guastare in tutti i modi e alla fine bruscamente interrompe con un fatale, irreparabile naufragio. Come quella di Maria, la nostra vita è un pellegrinaggio: incerto e faticoso e anche non poco penoso e sofferto, "in questa valle di lacrime", ma è un cammino aperto e costantemente accompagnato da Cristo, misterioso viandante che cammina con noi "tutti i giorni fino alla fine del mondo". È un pellegrinaggio che ha una meta sicura, il "cielo" del Padre, il quale tergerà le lacrime dei suoi figli e allora non ci sarà più né lutto, né dolore, né pianto. Intanto, mentre trascorre la vita, Dio fa risplendere "per il suo popolo, pellegrino sulla terra, un segno di consolazione e di sicura speranza" (pref.). Quel segno ha un volto e un nome inconfondibili: ha il volto luminoso della Madre del Signore, ha il nome benedetto di Maria, la piena di grazia, la pienamente beata perché ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore. Nel suo cuore immacolato e nel suo grembo verginale "si raccese l'amore", ed è una fortuna immeritata per i credenti avere lei alla testa della lunga processione di quanti sono stati rigenerati dal medesimo amore e alla fine "riceveranno la vita in Cristo", dopo che egli avrà annientato l'ultimo nemico, la morte (2ª lettura). Non siamo quindi destinati a penare tutta una vita per ritrovarci alla fine magari con una macchina un po' più lussuosa e poi andare a marcire nei pochi centimetri cubi di un gelido loculo al cimitero; siamo destinati a condividere la gloria di Maria, poiché anche noi, per grazia, siamo simili a lei, nostra madre: figli, con il cielo incorporato. Perciò oggi la preghiamo, perché, mentre si snoda il nostro santo viaggio, rivolga a noi i suoi occhi misericordiosi, ci rischiari la strada, ci richiami la meta, e ci mostri dopo questo esilio Gesù, il frutto benedetto del suo seno. O clemente, o pia, o dolce Vergine Maria! Commento di mons. Francesco Lambiasi tratto da "Il pane della Domenica. Meditazioni sui vangeli festivi" Anno C Ave, Roma 2009 |