Omelia (02-02-2010) |
Il pane della domenica |
Il segreto della gioia I miei occhi han visto la tua salvezza "Noi tutti che celebriamo e veneriamo con intima partecipazione il mistero della presentazione del Signore, corriamo e muoviamoci insieme in fervore di spirito, incontro a lui", così ci esorta la liturgia (s. Sofronio). Entriamo anche noi con Maria, Giuseppe e il bambino Gesù al tempio. Vi incontriamo il vecchio Simeone che, illuminato dallo Spirito Santo, percepisce subito la novità di quanto sta accadendo: non sono delle creature umane che presentano un bambino a Dio, ma è Dio che presenta il suo Bambino agli uomini: "introduce il Primogenito nel mondo" (Eb 1,6). La festa odierna ha una sua intima valenza Cristologica, come canteremo nella prefazio: "Il tuo unico Figlio, generato nei secoli eterni, presentato oggi al tempio, è proclamato dallo Spirito Santo gloria d'Israele e luce dei popoli". 1. Di questo mistero essenzialmente Cristologico, vogliamo cogliere oggi la correlata dimensione mariologica. Ci domandiamo: cosa ha significato l'evento della presentazione al tempio per Maria? Non è stato tanto una "purificazione" della puerpera, come si diceva una volta (la candelora era la chiamata la "purificazione di Maria"): infatti, l'elemento centrale del brano evangelico è il Bambino, mentre il rito di purificazione non prevedeva di portare il bambino al tempio. Nemmeno si può parlare di "riscatto" del primogenito, perché tale riscatto avveniva pagando cinque sicli, ma l'evangelista non dice niente di questo riscatto. Dunque non tanto purificazione e non tanto riscatto, perché "per la purificazione non c'è bisogno del bambino e per il riscatto non c'è bisogno del tempio" (Dibelius). Si è trattato piuttosto di una presentazione-offerta: Luca pensa alla presentazione fatta da Anna del suo figlio Samuele (cfr. 1 Sam 1,11.21-28). Anche Gesù, come il piccolo Samuele, è presentato a Dio come suo consacrato: "il sacrificio di purificazione della puerpera è per il narratore un semplice atto concomitante" (Schuermann). Così interpreta la nostra pagina evangelica la Marialis Cultus, presentando Maria come "la vergine offerente": "Nell'episodio della presentazione di Gesù al tempio, la Chiesa, guidata dallo Spirito, ha scorto, al di là dell'adempimento delle leggi riguardanti l'offerta del primogenito (cfr. Es 13,11-16) e la purificazione della madre (cfr. Lv 12,6-8), un mistero salvifico, relativo appunto alla storia della salvezza: ha rilevato, cioè, la continuità dell'offerta fondamentale che il Verbo incarnato fece al Padre, entrando nel mondo (cfr. Eb 10,5-7) (...). Ma la Chiesa stessa ha intuito nel cuore della Vergine che porta il Figlio a Gerusalemme per presentarlo al Signore, una volontà oblativa, che superava il senso ordinario del rito" (n. 20). È questa dimensione oblativa che dobbiamo cogliere come messaggio della festa odierna, cercando di enucleare i tratti salienti di quella spiritualità dell'offerta che spinge un cristiano o una cristiana a vivere la vita nel dono totale di sé a Dio come il Tutto della propria vita. 2. La spiritualità dell'offerta richiede innanzitutto un no deciso, senza ritorni e senza rimpianti, a ciò che nel NT è chiamato con il termine greco pleonexìa, che significa "cupidigia, avidità insaziabile, voglia di avere sempre di più". La parola di Gesù ci ammonisce con chiarezza tagliente: "Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia (pleonexìa), perché se anche uno è nell'abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni" (Lc 12,15). Il forte richiamo evangelico è ripreso da s. Paolo: "Mortificate quella parte di voi che appartiene alla terra: fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e quella avarizia insaziabile (pleonexìa) che è idolatria" (Col 3,5). Senza cedere al vezzo della lamentazione sulla nequizia dei tempi presenti, non si può negare che nel nostro occidente opulento viva una società obesa e depressa. Si punta ad avere di più, si corre affannosamente alla ricerca di un gradino sempre più in alto della scala sociale, si rincorre il miraggio allettante di poter godere sempre di più, e ci si ritrova a vivere un'esistenza piatta e spenta. Siamo una società in declino. Mai come oggi è stata così appropriata la denominazione geografica di questa parte di mondo che abitiamo: "occidente", dove tramonta il sole. Viviamo nella "terra del tramonto": conduciamo un'esistenza alla ricerca dello standard sempre più elevato di comfort e di comodità, ma finiamo per ritrovarci sempre più agitati e insoddisfatti. Vogliamo essere più liberi, ma le macchine che produciamo non ci regalano maggiore autonomia; ci offrono piuttosto altra possibilità di lavoro e dunque altra fatica e altro stress. Ci piace essere originali, anzi unici, ad ogni costo, e poi ci ritroviamo tutti programmati dalle multinazionali e "uni-formati" dalle centrali della moda. 3. Ma è in casa nostra che dobbiamo fare un serio esame di coscienza: non si è forse infiltrato anche nelle nostre comunità cristiane quella nube tossica che si riassume nella religione, nuova ma tanto vecchia, dell'idolo uno e trino: l'idolo seducente di un solo signore, l'Io, con la triade maliarda che ha per nome: Avere-Potere-Godere? Per questa nostra società comodona e convulsa, sazia e sempre più annoiata, gaudente e disperata, l'unica possibilità di salvezza è smettere di far resistenza al vangelo; è accogliere la contestazione radicale che viene dalla vita di cristiani che portano stampato in faccia il messaggio che la gioia è possibile, ma abita in "via della croce". La croce non è la negazione della perfetta letizia, è piuttosto la sua condizione di possibilità. A gente che sogna una bella vita, la profezia di una esistenza cristiana, radicalmente cristiana, consiste nel dire con fatti di vangelo che la vita è bella, e non solo quella dell'a-di-là; la vita è bella già al-di-qua, se però è "cristiana", condotta con "gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù" (Fil 2,5). Non è vero che la gioia si compra col denaro. Non è vero che la povertà fa godere di meno; piuttosto fa godere di più perché mi distacca dalla frenesia e dall'ingordigia: è l'ingordigia che sciupa le cose e le guasta. Non è vero che la castità ti fa amare di meno, semmai ti fa amare di più, perché sana in radice la tua voglia malsana di possedere e di usare l'altro. Questa è la scommessa più attuale per i cristiani, oggi. Che ognuno di noi possa sottoscrivere in tutta verità e con gioiosa gratitudine questa preghiera di un grande mistico, Angelo Silesio: "Voglio amarti, mio Dio / voglio amarti, senza ricompensa / anche nella più grande miseria / voglio amarti / luce e bellezza / finché tu non mi spezzi il mio povero cuore". Commento di mons. Francesco Lambiasi tratto da "Il pane della Domenica. Meditazioni sui vangeli festivi" Anno C Ave, Roma 2009 |