Omelia (19-03-2010)
Il pane della domenica
La grandezza dell'uomo "comune"

Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore

Capita di incontrare persone che non sono mai riuscite a comprendere il valore e il significato del proprio "esserci", anche se, a loro dire, si sono date da fare e hanno insistentemente e inutilmente tentato.
Ci sono persone che, almeno in certi momenti della loro vita, hanno la sensazione di non contare, di non aver chiaro il proprio ruolo, di non capire quale possa e debba essere il proprio contributo. Ci sono persone che si sono ormai "arrese", che hanno fatto della "rassegnazione" una virtù, un modo di essere e di vivere: hanno perduto, se mai lo hanno posseduto, smalto e slancio, sono senza prospettive plausibili e apprezzabili, non sperano: sono come avvolte permanentemente nel buio o nella nebbia.
Ci sono altri che, pur trovandosi in situazioni simili, non si rassegnano, non si arrendono, continuano a cercare, convinte che prima o poi uno squarcio di luce si aprirà anche per loro e verrà a illuminare e a riscaldare la loro esistenza.

1. S. Giuseppe è stato collocato spesso fra quelle persone che "brillano" per la loro opacità, di basso profilo, di poco spessore, quasi insignificanti! Eppure il vangelo di Matteo ne sottolinea il protagonismo e lo definisce "giusto". Certo di lui poco è stato scritto, ma non sono sempre necessarie molte parole per dire la grandezza di una persona. Ormai si comincia ad abbandonare l'idea piuttosto diffusa di un Giuseppe vecchio, che non ha nulla da dire, messo in disparte, quasi un di più nella vicenda umana di Gesù e nella storia di Maria che pure è la sua sposa.
L'evangelista Matteo pone Giuseppe in una luce che ne esalta la grandezza e ne evidenzia la fede e la nobiltà d'animo.
Se, come afferma la 2ª lettura, la "promessa" fu consegnata ad Abramo e trasmessa nei secoli, "in virtù della giustizia che viene dalla fede" (Ebr 4, 13), l'ultimo anello di trasmissione prima in vista del pieno compimento è costituito proprio da s. Giuseppe: attraverso di lui Gesù, il Messia, è collegato con Davide e con Abramo. La fedeltà di Dio si manifesta anche attraverso la sua persona tanto che il ruolo di s. Giuseppe appare necessario, determinante.
Il vangelo, definendolo "giusto", lo presenta come un uomo totalmente dentro un disegno divino che lo coinvolge e lo supera. E Giuseppe è un uomo tutt'altro che inconsapevole e marginale. È una persona che vuol rendersi conto e, se pensa di ritirarsi in disparte, non lo fa per pusillanimità, ma per la coscienza del suo limite e della sua piccolezza di fronte al mistero che ha avvolto Maria, la sua sposa: è rispetto per lei e per l'opera che Dio sta realizzando. Ma, nel momento di cui gli si fa' chiara la sua parte, non ha dubbi, decide e si getta con generosità nell'impresa.
È bello ed è profondamente corretto pensare ad un Giuseppe "coprotagonista" di una vicenda in cui a operare come "attore principale" è lo Spirito di Dio.
Il testo evangelico parla della nascita di Gesù o, più precisamente, della sua origine: la nascita da Maria, sposa di Giuseppe; l'origine divina, perché tutto quello che avviene è opera insospettabile e impensabile di Dio. "Quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo", si sente dire Giuseppe in sogno. Perciò, "non temere, Giuseppe, figlio di Davide" (cfr. Mt 1, 20).
Gli interventi di Dio talvolta possono intimidire, ma, mentre manifestano la sua potenza, tendono ad esaltare la responsabilità e il protagonismo umano. Dio non è un padrone dispotico, che umilia e schiaccia; Dio è un Padre che sollecita la partecipazione e la collaborazione dei suoi figli: senza di loro non porta a compimento la sua opera di creazione e di salvezza.

2. L'evangelista, narrando "come avvenne la nascita di Gesù Cristo", manifesta subito la sua fede che è la fede della Chiesa: "Maria fu trovata incinta per opera di Spirito Santo" (cfr. Mt 1,18). In Giuseppe questa convinzione è maturata poco per volta. Sostenuto dalla certezza della rettitudine della sua sposa, Giuseppe da uomo "giusto" qual era, prova a inventare una soluzione che sia conveniente soprattutto per Maria: è la sua onorabilità che va salvaguardata. È in questo contesto di sofferta e nobile ricerca che "gli apparve in sogno un angelo del Signore", perché il Signore si fa trovare da chiunque cerca la sua volontà. Giuseppe sperimenta la verità di quello che sarà poi l'insegnamento di Gesù sulla preghiera: "Chiunque chiede riceve, e chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto" (Mt 7,8).
All'uomo è chiesto di fare tutto quello che dipenda da lui, perché Dio sicuramente fa per intero la sua parte. Quando avviene l'incontro tra la volontà divina e la disponibilità umana, si compiono meraviglie!
Accettare il travaglio della ricerca ci è difficile. Noi vorremmo tutto, subito! Se la nostra cultura si caratterizza per la "velocità"e non per la "fedeltà", la testimonianza di s. Giuseppe va contro corrente, perché suggerisce la "pazienza" e la "perseveranza", cioè la capacità di operosamente attendere, mentre si impiegano tutte le proprie risorse: il risultato ci sarà. È un esempio quello di Giuseppe che vale la pena di contemplare per farne tesoro.
Sulla linea del vangelo di Matteo, definito il "vangelo della prassi", s. Giuseppe è l'uomo che fa', che agisce, che si prende le proprie responsabilità. Ma il suo non è un "fare" qualsiasi, uno sbrigarsi a fare. Non corrisponde alla "concretezza" (anche pastorale), alla quale spesso ci si richiama con il detto: "Basta far qualcosa!". Quello di Giuseppe è il fare di chi ha riflettuto, scoperto, compreso; di chi sa riconoscere la sua dipendenza da Dio e l'appartenenza ad un disegno divino che lo precede e lo supera.
Il "fare" di Giuseppe si colloca sulla linea dell'obbedienza evangelica, obbedienza ai piani di Dio, come è stato per Gesù, il Figlio obbediente che salva i figli disobbedienti (cfr. Rm 5,18-21); come è stato per Maria, l'umile serva del Signore, che si è consegnata alla Parola di Dio e per questo è "beata" (cfr. Lc 1,45); come deve essere per la Chiesa e per ogni discepolo del Signore, che vivono ed esprimono l'intima relazione con lui e la fedeltà alla propria vocazione (battesimale e specifica) nell'ascolto e nell'obbedienza alla Parola.

Con il suo esempio silenzioso e straordinariamente eloquente e con la sua preghiera di intercessione, s. Giuseppe continua a "custodire" il "corpo di Cristo che è la Chiesa", con la stessa sollecitudine e premura con cui ha custodito Maria e Gesù negli anni vissuti con loro.

Commento di don Ugo Ughi
tratto da "Il pane della Domenica. Meditazioni sui vangeli festivi" Anno C
Ave, Roma 2009