Omelia (25-03-2010) |
Il pane della domenica |
La donna della nuova alleanza Ecco, concepirai e darai alla luce un figlio Linguaggio chiaro e semplice, messaggio ricco e profondo: l'evangelista Luca non si smentisce mai. Ma c'è una domanda che forse ci intriga: chissà cosa deve aver pensato l'illustre Teofilo nel leggere per la prima volta questa pagina che l'amico e fratello Luca gli ha dedicato con l'obiettivo generale, dichiarato nella dedica premessa a tutt'e due i suoi volumi: perché, anche attraverso la pagina dell'annunciazione, Teofilo "si rendesse conto della solidità degli insegnamenti ricevuti". Quale messaggio - si sarà chiesto il nostro Teofilo - voleva indirizzargli l'evangelista attraverso quel racconto, a primo colpo d'occhio così candido, quasi naif: informarlo?, edificarlo?, commuoverlo? Ormai fin dalle prime righe di quel libro a lui dedicato, Teofilo deve aver capito che quanto più una pagina gli sembrava semplice e trasparente ad una 1ª lettura, tanto più doveva rileggerla daccapo più e più volte per non fermarsi alla "buccia" del linguaggio e arrivare alla "polpa" del messaggio. Due chiavi devono aver dato a Teofilo la possibilità di accesso nel "vangelo" dell'annunciazione: la prima l'avrà certamente trovata andando "dietro" al brano, l'altra andandoci "intorno". Sono due chiavi che possono aiutare anche noi. 1. Cosa c'è dunque dietro a questo brano? Il saluto dell'angelo a Maria fa un po' da spia a tutto l'episodio. Normalmente il greco chaire viene tradotto con "ave" o "ti saluto", ma letteralmente suona come un imperativo: "rallègrati! gioisci!". Non deve trattarsi del comune saluto del mondo greco. Nel saluto di Gabriele si coglie invece l'eco degli annunci di salvezza rivolti alla figlia di Sion, quali si trovano, ad esempio, nel profeta Sofonia: "Prorompi in grida di gioia, figlia di Sion! Rallegrati, gioisci con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme! Il Signore ha annientato i tuoi nemici, tu non temerai più annuncio di sventura" (Sof 3,14s). È da notare che il saluto dell'angelo è l'unico in tutta la Bibbia che inizia così, con questo invito alla gioia, mentre in genere le prime parole usate da Dio o dal suo messaggero sono: "non temere". A Maria dunque viene rivolto lo stesso lieto annuncio (lett. "vangelo") che alla figlia di Sion. E come questa giovane rappresenta simbolicamente l'intero Israele, così Maria viene chiamata ad impersonare tutta la nuova comunità messianica, il nuovo Israele scelto per rinnnovare l'alleanza con Dio. In effetti nel racconto dell'annunciazione si riscontrano i due elementi del formulario tipico dell'alleanza: il mediatore - Gabriele, come nell'alleanza al Sinai, Mosè - e il popolo, impersonato da Maria. Due sono gli elementi fondamentali dell'alleanza: il messaggero espone le esigenze di Dio, la comunità esprime il proprio assenso di fede. Attraverso questo genere letterario si vuole dire che Maria è chiamata nientemeno che a concludere la nuova alleanza con Dio, e qui noi riscontriamo un elemento di forte discontinuità rispetto all'AT, dove a concludere l'alleanza a nome del popolo era sempre un uomo. Ora invece Dio fa alleanza con il nuovo popolo, rappresentato da una donna. Il ruolo rappresentativo di Maria fu già intuito da s. Tommaso, secondo il quale Maria aveva dato il consenso al volere di Dio a nome e al posto di tutta l'umanità ("loco totius humanae naturae"). La cosa è insinuata anche in Mulieris dignitatem 4,1, dove, commentando proprio questo brano dell'annunciazione, Giovanni Paolo II affermava: "Da questo punto di vista la ‘donna' è la rappresentante e l'archetipo di tutto il genere umano: rappresenta l'umanità che appartiene a tutti gli esseri umani, sia uomini che donne". Attraverso l'angelo da una parte e Maria dall'altra, Dio e l'umanità ritornano a parlarsi. Dio riprende l'iniziativa, e "parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi per invitarli e ammetterli alla comunione con sé" (DV 2). La storia della salvezza riparte: grazie alla promessa di Dio e alla risposta di Maria, la Parola si fa carne e viene ad abitare in mezzo a noi. 2. Ma per entrare a fondo nel dialogo tra l'angelo e Maria, il nostro amico Teofilo, dopo aver letto questa pagina, deve essere ritornato a quella immediatamente precedente, dove l'amico evangelista Luca aveva appena raccontato la scena parallela dell'annunciazione a Zaccaria. Andando quindi intorno al brano dell'annuncio a Maria e ricomponendo il suggestivo dittico delle due scene che riportano le due annunciazioni, anche noi possiamo stabilire un confronto tra le due pagine, e riscontriamo così molte somiglianze: nell'una e nell'altra risultano identici il messaggero, la promessa di un figlio, il linguaggio ricco di riferimenti all'AT, diversi tratti della struttura del racconto stesso. Ma sono ancora più numerose e significative le differenze. Il primo quadro presenta Zaccaria ed Elisabetta come "giusti davanti a Dio" e rigorosi osservanti di tutte le leggi del Signore. Si tratta di un racconto edificante, per dimostrare che qui viene premiato un comportamento giusto e timorato di Dio. Nel secondo racconto, sorprendentemente, non si fa alcun accenno alle virtù di Maria, né alla sua preghiera, né alla sua attesa. Tutto viene dall'alto, tutto parte da Dio, tutto è dono, pura grazia. Lo scenario del primo quadro è grandioso, solenne: l'evento ha luogo nel tempio, durante una liturgia; al centro, un sacerdote nell'esercizio della sua funzione; sullo sfondo, il popolo in attesa. Il secondo quadro è privo di ogni scenario: non ci si dice dov'è che "entra" l'angelo, né che cosa stia facendo Maria. Inoltre, di fronte alla promessa di un figlio, Zaccaria resta incredulo e chiede una garanzia; la risposta dell'angelo è al tempo stesso un segno dell'efficacia della parola di Dio e un castigo per la poca fede dell'uomo. Maria invece non dubita della promessa di Dio, ma chiede una spiegazione sulle sue modalità di realizzazione: "Come avverrà questo?". Non chiede un segno, e proprio per questo le sarà dato. Andando "intorno" al nostro brano, attraverso il confronto con l'annunciazione a Zaccaria, possiamo cogliere ciò che fa la differenza: "Da una parte l'uomo che entra nella casa di Dio, dall'altra Dio che entra nella casa dell'uomo. Nel primo quadro è l'osservanza della legge che viene premiata, nel secondo è la grazia che viene proclamata" (Maggioni). 3. Questo è quanto accade quando Dio e l'uomo riprendono a parlarsi: "accade" la grazia. Comincia l'aurora della salvezza: da una parte Dio riprende l'iniziativa, dall'altra Maria dà l'umile e libera risposta della fede. Perché se Dio non parla, l'uomo ritorna nella polvere: come con una sua parola Dio lo ha creato, così solo la sua parola può ricrearlo e salvarlo, insomma: non farlo morire. Nella sua parola infatti noi veniamo creati e poi rigenerati. Ma dall'altra parte occorre la libera risposta della fede, come quella di Maria, che non dice semplicemente: "si faccia secondo la tua parola", ma "oh, sì, avvenga, avvenga presto quello che hai detto". Infatti la forma ottativa del verbo contiene una sfumatura di gioioso desiderio. L'obbedienza di Maria mette in gioco l'intera persona ("di me"), non soltanto un gesto o un compito. Questa è appunto la fede, "con cui l'uomo si consegna a Dio liberamente e totalmente" (DV 5). Alla luce di queste osservazioni, la figura di Maria si dilata, divenendo l'immagine della Chiesa e di ogni uomo, la figura più luminosa del "vangelo", la lieta notizia della grazia. Se il "parlare" di Dio a noi è frutto del suo amore, il nostro "rispondere" a lui è frutto della fede. Non possiamo dare il nostro consenso a Dio se non crediamo nella vita e nella gioia che egli ci promette. Maria ha creduto e perciò ha detto il suo sì "con tutto il suo io, umano, femminile" (Giovanni Paolo II). Dio ci parla perché vuole salvarci: anche noi vogliamo essere "uditori della Parola"; vogliamo collaborare con lui perché il mondo si salvi, e abbia la vita e la vita in abbondanza. Commento di mons. Francesco Lambiasi tratto da "Il pane della Domenica. Meditazioni sui vangeli festivi" Anno C Ave, Roma 2009 |