Omelia (24-06-2010)
Il pane della domenica
La bellezza di una nascita e di un nome

Giovanni è il suo nome

Chiamiamo giustamente "lieto evento" la nascita di un bambino. Anche se comporta sofferenza per la mamma e per il figlio e l'avvenimento è vissuto con molta trepidazione dalla cerchia di parenti e amici, si tratta pur sempre di un fatto gioioso. Sono interessanti, anche se talvolta di dubbio gusto, le usanze che si riscontrano in vari luoghi per l'annunzio del "lieto evento" oltre l'ambito familiare: una gioia talmente grande che si vorrebbe condividere con tutti, anche con gli estranei. Con la nascita una nuova vita umana si presenta sul versante della storia: un segno di vitalità, un annuncio di futuro, un motivo di speranza! Il mondo occidentale, con l'Italia in prima fila, non appare un mondo gioioso, felice, sebbene progredito e ricco; è prevalentemente un mondo ansioso, agitato, rissoso, preoccupato, egoista; magari festaiolo e ridanciano, ma non gioioso, mortificato nella speranza. È un mondo in cui la gioia delle nascite si va diradando e tutto appare più arido, senza autentiche prospettive, pesante.

1. La nascita di Giovanni Battista è l'evento che illumina la vita di Elisabetta e Zaccaria, i genitori, e coinvolge nella gioia e nello stupore tutta la parentela e il circondario. Questi anziani genitori l'avevano sognato e preparato quel giorno, ma ormai non l'aspettavano più: si sentivano esclusi, umiliati, delusi. La "vergogna", come Elisabetta definisce la sua condizione di donna senza figli (cfr. Lc 1,25), accompagnava la loro esistenza. Ma "nulla è impossibile a Dio" (Lc 1,37). E ora che l'evento si compie, la gioia trabocca.
Il vangelo, annunciata la nascita, si sofferma sul giorno dell'imposizione del nome: un avvenimento ugualmente rilevante per il bambino e per il suo futuro. Dopo la straordinarietà della nascita, l'imprevedibilità del nome, tanto che parenti e vicini "furono presi da timore e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di queste cose" (Lc 1,65). Tutti intuiscono che è accaduto qualcosa dagli sviluppi futuri imprevedibili, e si domandano: "Che sarà mai questo bambino?" (Lc 1,66).
La vita dell'uomo, nonostante tutte le scoperte della scienza e della tecnica e le manipolazioni genetiche, è e resta "mistero". Ci sono nell'esistenza dell'uomo delle "variabili" che non possono essere né previste né controllate. Anche se oggi si è portati a pianificare ogni cosa, perfino il sesso, il colore dei capelli e degli occhi o altre caratteristiche dei figli, prima o poi i piani umani vengono scombinati. La vita di una persona va oltre i nostri schemi e le nostre stesse attese.
Zaccaria era rimasto scettico di fronte all'annuncio della nascita di un figlio, perché le leggi naturali non lo consentivano. Ma perché Dio dovrebbe essere legato alle nostre logiche e alle nostre reali o presunte capacità? Perciò Zaccaria era rimasto muto per tutto il tempo della gestazione. Bisogna imparare a fidarsi e a tacere di fronte al mistero di Dio e a contemplare in silenzio la sua opera. Anche Elisabetta "si tenne nascosta per cinque mesi" (Lc 1,24) dopo il concepimento, quasi stordita dall'incredibile sorpresa del Signore.
Il silenzio umile e adorante è il clima adatto per prendere chiara coscienza degli avvenimenti, per far maturare la fede e per crescere nell'umile disponibilità di fronte al mistero di Dio, che si rivela nella storia dell'uomo.

2. Ora al bambino viene imposto il nome: momento importante, perché il nome indica la persona, il suo unico e irripetibile valore. In qualche modo nel nome viene come racchiuso, oltre che l'appartenenza ad una storia, anche l'avvenire del neonato. "Si chiamerà Giovanni": è la decisione di Elisabetta, confermata inaspettatamente da Zaccaria. Non un nome caro alla famiglia, ma un nome "nuovo", estraneo alla tradizione parentale. Giovanni (=Dio ha fatto grazia) deve ricordarsi e ricordare, quasi celebrandole con la sua vita, la bontà del Signore e la sua benevolenza verso creature umili e umiliate e, più ancora, verso il suo popolo e l'intera umanità. Zaccaria, riacquistata la parola, proclama nel suo cantico il compimento di un disegno grande, che supera gli spazi della sua casa: "Il Signore si è ricordato della sua santa alleanza e del giuramento fatto ad Abramo, nostro padre" (cfr. Lc 1,72-73).
La liturgia di oggi, ampliando ulteriormente gli orizzonti, attribuisce a Giovanni Battista la missione stessa del Servo di Dio: anche lui sarà "luce delle nazioni", perché la salvezza di Dio sia annunziata e portata fino agli estremi confini della terra (cfr. Is 49,6).
Secondo il testo di Isaia, proclamato come 1ª lettura, è il Signore, per primo e da sempre, a pronunciare il nostro nome: "Il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fin dal grembo di mia madre ha pronunziato il mio nome" (Is 49,1). Questa convinzione fa dire al salmista: "Sei tu che hai creato le mie viscere e mi hai tessuto nel seno di mia madre. Ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio... tu mi conosci fino in fondo" (Sal 139,13-14).
Il figlio, ogni uomo, è dono, mai possesso. È iscritto da Dio stesso in ciascuno di noi un progetto da ricercare e da scoprire per essere attuato: è nella volontà del Signore, accolta e realizzata, la nostra pace, la nostra gioia, la nostra piena riuscita.
In ciascun uomo c'è il "timbro" di Dio che chiama a riflettere come in uno specchio, in maniera ogni giorno più perfetta, con modalità originali "uniche e irripetibili, i suoi lineamenti e la sua immagine, secondo la vocazione personale di ciascuno (cfr. Gen 1,26-27).
Nella Bibbia il figlio avuto inaspettatamente per intervento divino, viene restituito al Signore: i genitori credenti sanno che il dono non è soltanto per loro, ma è in vista del bene comune. Questo accade anche per Giovanni Battista: "Il fanciullo cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele" (Lc 1,80).
La pagina di Luca orienta verso la dimensione vocazionale della vita, per cui l'azione di Dio e la collaborazione umana sono chiamate a incontrarsi. L'educazione è opera di cooperazione umano-divina: i genitori, che collaborano con Dio per la nascita di una nuova creatura umana, sono chiamati a prestare la loro collaborazione per la formazione e la maturazione globale del figlio.
Non tener conto della dimensione religiosa e vocazionale di una persona equivale a limitare e impoverire una storia!

Commento di don Ugo Ughi
tratto da "Il pane della Domenica. Meditazioni sui vangeli festivi" Anno C
Ave, Roma 2009