Omelia (29-06-2010)
Il pane della domenica
Unità nella fede e nella carità

Tu sei Pietro: a te darò le chiavi del regno dei cieli

Quella della pietra è una immagine comune, utilizzata sia per indicare saldezza e stabilità sia per suggerire l'idea dell'edificio. Nell'Antico Testamento la figura viene usata, soprattutto nei Salmi, per indicare il Signore come fondamento sicuro del suo popolo: su di lui possono sempre contare Israele e ogni credente. Il Signore è la pietra, la rupe, la roccia, su cui il popolo si appoggia per vivere sicuro e per rimanere saldo nella fedeltà, anche in mezzo a prove e pericoli.
Gesù che attribuisce l'immagine a se stesso (cfr. Mt 21, 42), la applica anche a Simone, figlio di Giovanni, al quale cambia il nome in "Cefa", cioè pietra, roccia, sulla quale egli intende edificare la "sua" Chiesa. È bene notare che la Chiesa è "sua", cioè di Cristo; gli appartiene; non la consegna ad alcuno; la custodisce con la potenza del suo Santo Spirito, perché le forze del male non prevalgano. Garantisce lui per la Chiesa. A Simon Pietro, tuttavia, affida il compito di essere segno visibile di unità nella fede e nella carità.
Il brano evangelico di Matteo, come il testo degli Atti degli Apostoli proposto come 1ª lettura, si riferisce a Pietro, alla sua professione di fede, alla proclamazione della beatitudine del credente, alla missione che gli viene affidata, all'assistenza premurosa che il Signore non gli fa mancare nella sofferenza e nella prova; mentre la fisionomia e la statura morale e spirituale di Paolo sono delineate dalla seconda lettera a Timoteo, proposta come 2ª lettura.
Non è tuttavia impresa difficile mettere insieme i due apostoli, seguendo il brano evangelico, che possiamo dividere in due parti:
- la prima riguarda la professione di fede cristiana: è la fede di Pietro e dei Dodici, cui si unisce Paolo il quale nella seconda lettera ai Corinzi dichiara che il centro, il cuore, lo scopo della sua predicazione e di tutta la sua azione missionaria è "Cristo Gesù Signore" (5,4) e nella lettera ai Filippesi scrive: "Per me il vivere è Cristo" (1, 21);
- la seconda contiene l'affidamento a Pietro della cura della Chiesa, missione che viene condivisa, pur rispettando lo specifico di Pietro, dagli altri apostoli, fino a Paolo e ai loro successori e collaboratori.

1. In primo piano sta, dunque, la questione della fede in Cristo, che non può mai essere data per scontata, ma che ha bisogno di essere continuamente verificata, alimentata, tradotta in scelte concrete di vita, per essere testimoniata e annunziata. Secondo Gal 6,5, la fede opera, cioè si esprime e si manifesta, nella carità, perché "la fede, se non ha le opere, è morta in se stessa" (cfr. Gc 2,17).
Il brano di Matteo mette in luce un aspetto della fede cristiana, racchiuso nell'interrogativo di Gesù: "Voi chi dite che io sia?", traducibile anche con "Chi sono io per voi, per te?". Ecco, questa domanda esige una risposta personale e chiede che se ne valutino le conseguenze. "Chi è Gesù per me? Quanto è entrato nella mia vita? Come orienta i miei pensieri, le mie decisioni, le mie scelte?"
Il vangelo suggerisce che non basta una risposta teologicamente corretta, come quella di Simon Pietro: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16, 16). Una dichiarazione di questo genere deve cambiare radicalmente la vita, altrimenti resta concretamente, pur nella sua grandezza e pregnanza, un vuoto suono di parole. Con una espressione un po' sofisticata si direbbe che dall'ortodossia si deve passare all'ortoprassi! Lo stesso Pietro comprenderà soltanto successivamente la portata della sua dichiarazione, dopo essere passato attraverso l'esperienza del tradimento ed essere stato coinvolto nel mistero della passione e della risurrezione di Gesù. La Pasqua del Signore sarà l'evento decisivo e determinante. Le parole si possono facilmente disperdere e cambiare, ma, se entrano nella vita, questa testimonia per loro. L'apostolo Paolo arriva ad affermare: "Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me" (Gal 2,20). Perciò, facendo un bilancio della sua vita di credente e di apostolo e nella prospettiva dell'incontro definitivo e beatificante con il Signore, può scrivere con tutta umiltà e sicurezza: "Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede" (2Tim 4,7).
Dopo la risurrezione di Gesù, Pietro non sarà più interrogato sulla fede, ma sull'amore: "Mi ami tu?" e sarà invitato nuovamente alla sequela (cfr. Gv 21,15-19). Lui, Pietro, e gli altri discepoli che erano con lui sul lago di Galilea, "sapevano bene che era il Signore" (Gv 21,12), ma ora Pietro sta comprendendo che credere in Gesù significa seguirlo lungo la via della croce, fino al martirio, avendo speso tutta la propria vita perché il Signore sia conosciuto, amato, seguito da tanti altri. La qualità della testimonianza e la gioia della missione costituiscono la cartina di tornasole della vivacità e della vitalità della fede.

2. Ed è sorprendente che Gesù continui a dire a Simon Pietro che si fida di lui, che su di lui intende fondare la sua chiesa. È incredibile come il Signore scelga con assoluta libertà e benevolenza persone deboli e fragili, anche peccatrici, e affidi loro un compito umanamente "insopportabile". L'amore sapiente di Dio va oltre i nostri meriti e perfino oltre la consapevolezza delle nostre qualità.
Ma Gesù non lascia soli: "Io sono con voi tutti i giorni" (Mt 28,20) e non affida al caso la sua Chiesa. Il Padre che ha rivelato a Pietro l'identità di Gesù, provvede a donare il suo Santo Spirito, perché la fede di Pietro e della Chiesa non venga meno, e perché assista i discepoli nel loro impegno missionario.
Se la Chiesa è di Gesù, è lui a distribuire "carismi" e "ministeri", perché si edifichi giorno per giorno come "suo corpo" e come "tempio santo del Signore". Ha assicurato i discepoli: "Non vi lascerò orfani, ritornerò da voi" (Gv 14,18). E il Signore fa sentire la sua presenza premurosa anche nei momenti difficili, quando i discepoli cominciano ad aver paura, quando nella loro debolezza lo rinnegano e lo tradiscono, quando "per il nome di Gesù" sono messi alla prova, vengono combattuti e perseguitati. La prospettiva del martirio non va considerata un incidente di percorso, ma un orizzonte entro il quale vedere e vivere la sequela del Signore.

Il racconto della liberazione di Pietro dalla prigionia di Gerusalemme, narrato da At 12,1-11, è garanzia del sostegno che il Signore non ha fatto e non fa mai mancare ai suoi discepoli e alla sua Chiesa, in nessuna circostanza.

Commento di don Ugo Ughi
tratto da "Il pane della Domenica. Meditazioni sui vangeli festivi" Anno C
Ave, Roma 2009