Omelia (09-11-2010)
Il pane della domenica
La chiesa-tempio: segno di un sogno

I veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità

Narra un midrash - racconto parabolico con lo scopo di indagare il senso profondo della Scrittura - che un giorno un pagano si recò da rabbi Jeoshua ben Korba per porgli questa domanda: "Perché il Santo, benedetto egli sia, parlò a Mosè dal luogo di un cespuglio di spine?" (=roveto ardente: cfr. Es 3). Il rabbi rispose: "Se avesse parlato dal luogo di un carrubo o di un sicomoro tu avresti fatto la stessa domanda. Ciononostante non ti lascerò senza risposta. Perché dal luogo di un cespuglio? Per insegnarti che nessun luogo, neppure un cespuglio di spine, è privo della presenza di Dio".

1. A selezionare i passi della Bibbia relativi al tema del tempio, si riempirebbero varie pagine fitte di citazioni, ma la conclusione - provocante e consolante insieme - è sempre la stessa: nessun luogo è privo della presenza di Dio, anzi il Dio della Bibbia mostra per il tempio di pietra una allergia sdegnosa, si direbbe istintiva. La cosa può sconcertare solo chi non lo conosce. L'ardente YHWH del Sinai è un Dio diverso: non ci sta a fare la parte di un Giove comodamente installato a presiedere un pantheon di idoli bizzarri e ricattabili. L'uomo non potrà mai sequestrarlo dal mondo e imbalsamarlo in un recinto saturo del fumo di sacrifici e d'incensi.
Così, a Davide che progetta l'idea di costruire una "casa" all'Altissimo, il Signore Dio contrappone una scelta inattesa: non Davide costruirà una casa di pietra a Dio, ma Dio darà una casa di carne, cioè un "casato", a Davide (2Sam 7). Il tre volte Santo, l'Essere assolutamente immateriale che, come confessa Salomone nella consacrazione del tempio di Gerusalemme, è colui che "i cieli e i cieli dei cieli non possono contenere" (1Re 8,27) è come irresistibilmente attratto da ciò che è materiale, corporeo, storico. YHWH, il Signore, ama abitare non nel cerchio stretto dello spazio sacro, ma nella linea aperta della storia. Al tempio Dio preferisce il tempo.
E quando giunge la pienezza dei tempi, si realizza il sogno a lungo coltivato: Gesù, il figlio di Maria, è la tenda di carne dove Dio pone la sua dimora (cfr. Gv 1,18), è il tempio vivo in cui Dio e l'uomo si incontrano in modo talmente unico da costituire una sola persona.
La fede nell'incarnazione spinge il cristianesimo nascente non a costruire chiese, ma ad impiantare comunità vive. Dopo il martirio di Stefano, quando la rottura col tempio giudaico si è fatta irreversibile, il luogo di riunione più usuale per la comunità è la casa (cfr. At 12,12); i primi cristiani vengono chiamati anche "quelli della strada" (cfr. At 9,2 e pass.): se questa denominazione non va presa alla lettera, è però certo che il vero tempio dove Dio si lascia incontrare non è fatto da mani d'uomo, è la stessa comunità: "Voi - dice Paolo ai corinzi - siete il tempio di Dio" (1Cor 3,16). L'edificio materiale è così relativizzato che Celso arriverà a bollare i cristiani di ateismo perché non si curavano dei templi. E quando con l'editto di Milano del 313 d.C. la libertà di azione religiosa diede sviluppo grandioso alla costruzione delle chiese, rimase costante la consapevolezza che la vera chiesa "non è la basilica che contiene il popolo, è il popolo stesso" (Agostino). Al riguardo il focoso Girolamo si esprime con parole sferzanti: "Parietes non faciunt christianos! Non sono le mura a fare i cristiani!".

2. È davvero paradossale: quando ormai il tempio di Gerusalemme non c'era più e i templi cristiani non c'erano ancora, assistiamo - sia negli scritti neotestamentari sia in quelli dei padri della chiesa dei primi secoli - a tutta una raffinata speculazione teologica sulla chiesa-comunità, in chiave di metafora della pietra e delle pietre, al punto che qualche esegeta ha parlato di una petralogia.
Cristo è "la pietra scartata dai costruttori e divenuta testata d'angolo" (cfr. Mt 21,42-44; Sal 118,22-23); Pietro è la prima roccia di basamento (cfr. Mt 16,18-20) e insieme agli apostoli costituisce le fondamenta su cui sono edificati i cristiani (cfr. Ef 2,20-22) che, come "pietre vive", formano "il tempio dello Spirito Santo" (1Pt 2,4-5).
Questa immagine così nitida e vivace della comunità cristiana come di un tempio ritorna spesso nei padri della chiesa. S. Ignazio di Antiochia la rielabora con finezza intrecciandola al paradigma trinitario-soteriologico: i cristiani sono "come pietre del tempio, preparate in anticipo per l'edificio di Dio Padre, sollevate in alto dalla macchina di Gesù Cristo, che è la croce, usando per corda lo Spirito Santo".
Ai tempi di s. Agostino ormai i cristiani avevano libertà di culto: ecco allora come l'immagine dell'edificio viene da lui ripresa: "Mediante la fede gli uomini divengono materiale disponibile per la costruzione; mediante il battesimo e la predicazione sono come sgrossati e levigati; ma solo quando sono uniti insieme dalla carità divengono davvero casa di Dio. Se le pietre non aderissero tra di loro se non si amassero, nessuno entrerebbe in questa casa".

3. Riprendendo un'antica leggenda rabbinica secondo la quale quello spezzone di roccia da cui scaturì l'acqua si mise a camminare e seguì il popolo ebreo lungo i tornanti assolati dell'esodo, fino alla terra promessa, s. Paolo commenta: "quella roccia era il Cristo" (1Cor 10,4). Ecco un'immagine smagliante e provocante della parrocchia: un popolo in marcia verso la terra della libertà, dietro Cristo, la pietra che cammina. "Parrocchia" significa letteralmente "gruppo dei pellegrini" che si attenda presso le case di un centro abitato. Ecco il sogno rappresentato dal segno liturgico della chiesa-tempio: realizzare una parrocchia-tenda che si arrotola di tappa in tappa, dietro Cristo-Pietra che cammina. Giovanni Paolo II in un discorso quaresimale ai parroci di Roma ebbe a definire la parrocchia una comunità che "cerca se stessa fuori di se stessa".
Questa è la missione: cristiani che escono dall'accampamento per mettersi in marcia e andare a dire al mondo l'unica notizia decisiva e liberante: Cristo è risorto! Il che significa: la storia del mondo non va verso il baratro del nulla, ma ha ormai imboccato il rettilineo di arrivo che porta al traguardo del "continente-Dio", alla patria trinitaria dove non è più né lutto né dolore né pianto, ma pace e gioia nello Spirito Santo.
Questo significa allora celebrare l'eucaristia, tutti circumstantes, diritti, in piedi attorno all'unico altare, come gli ebrei con il bastone in mano e i sandali ai piedi, pronti per scattare e andare ad annunciare la Pasqua, il passaggio del Signore. Pietra-che-cammina: ecco la vera identità della parrocchia, non un club di intellettuali che si parlano addosso, né un circolo chiuso per pochi intimi, ma una comunità in cammino che difende la fede diffondendola.
Questa idea della diversità nell'unità, plasticamente raffigurata nel simbolo-chiesa, la trovo efficacemente rappresentata in una preghiera del compianto card. Ballestrero, intitolata: Quale il mio posto?

"Quale sarà il mio posto nella tua casa, Signore? Lo so: non mi farai fare brutta figura, non mi farai sentire creatura che non serve a niente, perché tu sei fatto così: quando ti serve una pietra per la costruzione, prendi il primo ciottolo che incontri, lo guardi con tenerezza e lo rendi la pietra di cui hai bisogno: ora splendente come un diamante, ora opaca e ferma come una roccia, ma sempre adatta al tuo scopo. Cosa farai di questo ciottolo che sono io, di questo piccolo sasso che tu hai creato e che lavori ogni giorno con la potenza della tua pazienza, con la forza invincibile del tuo amore trasfigurante? Tu farai cose inaspettate, gloriose. Getti le cianfrusaglie, ti metti a cesellare la mia vita. Se mi metti sotto un pavimento che nessuno vede, ma che sostiene lo splendore dello zaffiro, o in cima ad una cupola che tutti guardano e ne restano abbagliati, ha poca importanza. Importante è trovarmi ogni giorno là dove tu mi metti, senza ritardi. Ed io, per quanto pietra, sento di avere una voce: voglio gridarti, o Dio, la mia felicità di trovarmi nelle tue mani malleabile, per renderti servizio, per essere tempio della tua gloria".

Commento di mons. Francesco Lambiasi
tratto da "Il pane della Domenica. Meditazioni sui vangeli festivi" Anno C
Ave, Roma 2009