Omelia (24-08-2003) |
don Elio Dotto |
Il linguaggio duro dell'Eucaristia Oggi è sempre più frequente il caso del cristiano che non va abitualmente alla Messa domenicale. Egli dice – e forse anche pensa – che si può credere anche senza andare alla Messa: come se questo rito non avesse niente da aggiungere alla propria fede personale... Una difficoltà di questo genere – per altro – non è soltanto di quelli che a Messa non vanno quasi più, ma è condivisa pure da molti di noi che a Messa andiamo ogni domenica. L'Eucaristia – prima o poi – rappresenta per tutti un linguaggio duro, un gesto che sembra lontano dalle esperienze e dai sentimenti quotidiani. Appunto così pensavano anche molti di quei discepoli di Gesù che avevano ascoltato il discorso sul pane della vita, quel discorso che noi abbiamo riletto nelle ultime domeniche. «Questo linguaggio è duro: chi può intenderlo?» (cfr Gv 6,60-69). Quei discepoli erano così disorientati che «da allora si tirarono indietro e non andavano più con lui». Eppure essi serbavano ancora nel cuore il fascino per la persona di Gesù; e custodivano ancora negli occhi quelle scene di delicatezza e di compassione a cui avevano assistito stando con il Maestro di Nazareth. Soltanto avrebbero voluto rimuovere quell'ultimo discorso, quelle allusioni velate ad una morte ormai imminente, quel linguaggio difficile sulla carne che è cibo e sul sangue che è bevanda. «Questo linguaggio è duro: chi può intenderlo?». In tal modo quei discepoli assunsero lo stesso atteggiamento che noi oggi assumiamo davanti all'Eucaristia: perché appunto anche noi oggi vorremmo a volte rimuovere questo linguaggio duro, questo gesto che sembra lontano dalle esperienze e dai sentimenti quotidiani. Sullo sfondo di un simile atteggiamento intravediamo certo i nostri dubbi e le nostre incertezze; ma scorgiamo soprattutto un pregiudizio moderno, che stenta a scomparire: quel pregiudizio cioè per cui l'unica via per comprendere sia la via della discussione razionale. E invece si può comprendere – e dunque vivere in pienezza – anche senza discutere, anche senza pervenire necessariamente a idee chiare e distinte. D'altronde lo sperimentiamo ogni giorno: se avessimo bisogno di chiarire sempre ogni dubbio prima di agire saremmo ben presto incapaci di qualsiasi azione. Di fatto accade però il contrario; accade cioè che noi superiamo i nostri dubbi fidandoci: fidandoci del consiglio di un amico, oppure del risultato di esperienze precedenti, o anche soltanto del nostro intuito. Esattamente così fecero pure gli Israeliti a Sichem, prima di entrare nella Terra promessa (Gs 24,1-2.15-17.18 – prima lettura): davanti alla scelta prospettata da Giosuè – «scegliete oggi chi volete servire» – davanti ad una simile alternativa, gli Israeliti si fidarono della buona testimonianza dei loro padri che erano stati liberati dalla schiavitù dell'Egitto; si fidarono, e scelsero di servire il Signore, anche se non vedevano ancora tutto chiaro su di lui e sulla sua parola. Lo stesso possiamo fare noi, davanti all'Eucaristia domenicale, davanti a questo gesto che a volte ci appare duro e lontano. La tentazione di sospenderne la pratica in attesa di comprenderla meglio indica una prospettiva illusoria: infatti soltanto praticando il sacramento noi possiamo approfondirne il significato. Perché nell'Eucaristia il Signore Gesù non ci chiede di avere le idee chiare e distinte; e neppure ci chiede di essere ogni volta entusiasti ed attenti. In ultimo, nell'Eucaristia il Signore Gesù ci chiede soltanto di scegliere lui, di metterci nelle sue mani, fidandoci della buona testimonianza che su di lui ci è stata resa. Nell'Eucaristia il Signore Gesù ci chiede cioè di deciderci per lui prima ancora di aver compreso. Appunto come fece Simon Pietro quel giorno: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna». |