Omelia (29-06-2008)
Wilma Chasseur
"Non ho niente ma quello che ho te lo do: in nome di Gesù, cammina!"

Oggi la Chiesa celebra le colonne su cui è stata fondata: i santi Pietro e Paolo. Festa antichissima che si celebrava già quando ancora non esisteva la solennità del Natale. Già nel terzo secolo si celebrava a Roma, il 29 giugno, la memoria dei Santi Pietro e Paolo.
Ricordiamo dunque Pietro il pescatore e Paolo il persecutore. O meglio: Simone il pescatore e Saulo il persecutore perché dopo che Gesù entrò nella loro vita (per non uscirne mai più), per loro due (come per milioni di altri dopo di loro), tutto cambiò, anche il nome. Simone divenne la pietra sulla quale poggerà la Chiesa. E Saulo, dopo che le scaglie gli caddero dagli occhi, divenne Paolo il vedente, prima accecato dalla troppa luce, ma poi annunciatore instancabile di ciò che aveva visto. O meglio: di colui che aveva visto e non solo visto, ma incontrato in modo così sconvolgente da essere sbalzato da cavallo e dalle sue sicurezze. E poi non smise più di viaggiare per monti e mari per annunciare Gesù Cristo fino a dare la sua vita per Lui.
Ecco cosa fa Gesù Cristo quando entra nella nostra vita: prima ci sbalza dal cavallo delle nostre baldanzose sicurezze o sicumere, e poi, quando siamo a piedi, ci manda a percorrere il mondo intero per annunciare Lui, l'unica certezza che rende sicuro il passo e dà senso alla nostra vita e a quella dei nostri fratelli. Ecco la logica di Dio! Noi crediamo di conquistare il mondo a cavallo della nostra scienza, sapienza e chissà quali altri mirabolanti virtù, ben issati sul nostro piedistallo, ma Dio - ci dice san Paolo - "ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio".
La prima lettura di questa domenica, ci presenta il bellissimo brano dove è raccontato il primo miracolo di Pietro che rispose allo storpio che gli chiedeva la carità: "Non possiedo né oro, né argento, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo il nazareno, alzati e cammina!". E questi, dopo essere stato preso per mano da Pietro, balzò in piedi e saltando e ballando per la gioia, lodava e ringraziava Dio.
Questo miracolo di Pietro mi ha sempre commosso tantissimo; dice: non ho niente, cioè nulla di quello che passa e non serve per la vera vita (oro e argento), ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo alzati e cammina. Aveva dunque il massimo, aveva ciò che montagne di oro e argento non avrebbero mai potuto dare al povero storpio: aveva in sé la potenza divina che gli ridiede la salute. Potessimo dire altrettanto, noi che abbiamo tutto e il surplus di tutto, ma in realtà non abbiamo niente di quel che dà o ridà la vera vita. E il senso da dare a questa vita.
Come non pensare anche alle parole di San Paolo quando dice: "Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me". Ecco quale sarebbe la massima realizzazione della nostra vita, la più grandiosa e straordinaria: sentire che lui vive in noi. Non stiamo più lì a contarci: quanti siamo, quanti non siamo, ma chiediamoci: "E' Lui che vive in noi?". Se sì cambieremo il mondo, anche se siamo in pochi, ma se no, possiamo anche essere moltitudini e non cambierà una virgola.
Non cediamo alla tentazione di contarci e di voler accaparrare gente alla "nostra" chiesa, al "nostro" movimento, ecc. perché quando facciamo così, siamo sicuri che non è lui che vive in noi, ma il nostro io. Occupiamoci ad attirare gente a Cristo e a Lui solo, allora sì che potremo dire: non ho niente, cioè non accaparro niente, ma quello che ho te lo do: in nome di Gesù Cristo alzati e cammina.